Per stabilire se l'immobile in cui un ente ecclesiastico svolge attività didattica benefici dell'esenzione Ici è necessario verificare se tale attività sia stata prestata a titolo gratuito o dietro il versamento di un prezzo simbolico. Inoltre, dopo il monito della Corte di giustizia sull’obbligo del recupero degli aiuti di Stato, il giudice tributario deve avere una maggiore attenzione nelle cause pendenti affinché non vi sia una illegittima esenzione del tributo. Questo è quanto affermato dalla Sezione tributaria della Cassazione con l'ordinanza 10288/2019.
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La questione oggetto della decisione riguarda il recupero dell'Ici non versata per 6 annualità, dal 2004 al 2009, da parte di un istituto di suore di Livorno, in relazione ad un immobile utilizzato per la gestione di una scuola materna paritaria. L'istituto religioso impugnava l'avviso di accertamento sostenendo di possedere i requisiti sia soggettivi che oggettivi per beneficiare dell'esenzione prevista dall'articolo 7 comma 1 lettera i) del Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), mentre il Comune labronico riteneva insussistente il presupposto del carattere non commerciale dell'attività di educazione svolta.
Dopo una doppia pronuncia dei giudici tributari favorevole alle suore, la questione arriva in Cassazione dove i giudici di legittimità, con una chiara e articolata decisione, ricostruiscono tutta l'evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema dell'esenzione Ici per gli immobili religiosi, finendo per accogliere il ricorso dell'ente locale e invitando la Commissione tributaria regionale a riverificare la natura economica o meno dell'attività didattica svolta.
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La particolarità della vicenda è data dal fatto che, durante il periodo in questione, in ambito nazionale si sono registrati ben tre interventi normativi più una circolare ministeriale (Mef 2/D 2009) interpretativa del presupposto oggettivo dell'esenzione, ovvero la natura commerciale dell'attività; mentre, successivamente, in ambito europeo è intervenuta dapprima la Commissione (decisione 2013/284)che ha sconfessato l'orientamento nazionale e poi la Corte di giustizia (sentenza 6 novembre 2018 C-622/16) che ha imposto allo Stato il recupero dell'imposta non versata.
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In particolare, il Collegio ricorda che nel 2013 la Commissione europea ha ritenuto l'esenzione dall'Ici compatibile con il diritto europeo – pena la configurazione di un aiuto di Stato - solo in relazione a immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, da intendersi quale «attività svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico». Per l'esecutivo di Bruxelles, nello specifico, anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica in concomitanza con l'attività di finalità sociale, assumendo rilievo determinante ai fini dell'esenzione solo la gratuità della prestazione. Secondo la decisione, inoltre, i criteri indicati dallo Stato per l'interpretazione del requisito della commercialità dell'attività – quali standard di insegnamento, non discriminazione e reinvestimento degli avanzi di gestione – non escludono la natura economica dell'attività didattica svolta.
L'assunto della illegittimità dell'esenzione in ottica concorrenziale è stato poi confermato nel 2018 dalla Corte di giustizia, la quale ha altresì ritenuto, contrariamente a quanto fatto dalla Commissione, che lo Stato ha anche l'obbligo di recuperare l'aiuto illegale. Ciò impone, precisa la Corte, che il giudice nazionale abbia una maggiore attenzione nelle cause pendenti per evitare che si produca «un vantaggio, indebito, tramite una illegittima esenzione del tributo».
Nel caso di specie, concludono i giudici, la Commissione tributaria ha valutato soltanto i criteri ministeriali di valutazione della natura commerciale dell'attività, senza considerare la gratuità della prestazione, ossia l'unico criterio che consente di ritenere applicabile l'esenzione.
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