Sono sempre più strette le relazioni di filiera tra Italia e Germania nella meccanica, «anche come conseguenza di un scenario geopolitico internazionale sempre più incerto, tra i competitor inglesi stretti dall’effetto Brexit e quelli cinesi ridimensionati dalla scarsa qualità e affidabilità delle forniture», sintetizza da Lipsia Ronny Seifert, il manager della Camera di commercio italiana per la Germania (Itkam), che dal 2006 segue lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi. A premiare i nostri costruttori non è solo la vicinanza geografica, ma qualità, sicurezza e flessibilità del made in Italy rispetto ai concorrenti dell’Est europeo. «La selezione delle aziende partner è però netta, perché i tedeschi spesso chiedono una dimensione minima come garanzia di affidabilità (un buyer dell’automotive ci ha chiesto per esempio di selezionare solo aziende italiane sopra i 10 milioni di fatturato) e si aspettano di interagire in inglese: due fattori non comuni tra i fornitori italiani».
I numeri dell’Istat sull’interscambio commerciale confermano il rafforzarsi del legame tra i due versanti delle Alpi: tra il 2013 e il 2018 i flussi di meccanica da e verso la Germania sono aumentati di oltre il 40% (da 36,3 a quasi 51 miliardi di euro, per il 70% concentrato tra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte), ma la forbice del saldo attivo continua a crescere a vantaggio tedesco (l’Italia ha esportato lo scorso anno meccanica per 20,2 miliardi e ne ha importata per 30,7). «Nelle tecnologie per il packaging gli ultimi dati confermano il nostro sorpasso sulla Germania, pur scontando noi il nanismo aziendale (abbiamo il doppio delle imprese tedesche a parità di fatturato complessivo) e un sistema-Paese che non accompagna e non valorizza i nostri costruttori e il nostro brand “made in Italy” sulle piazze internazionali come il Governo tedesco. Ma sempre più si delinea un rapporto, tra italiani e i tedeschi, che non è solo di competizione ma di cooperazione produttiva lungo la filiera. La vera minaccia arriva da Oriente», afferma Enrico Aureli, presidente di Ucima-Confindustria che rappresenta 630 imprese nel segmento delle macchine per il confezionamento e l’imballaggio, con oltre 32mila addetti e 7,7 miliardi di euro (80% export).
Nel segmento delle macchine utensili come frese, stampi e torni, i tedeschi sono nostri grandi clienti. «In Germania siamo sia fornitori apprezzati di chi produce componentistica per l’automotive, sia fornitori diretti di grandi macchinari customizzati nei settori energia, movimento terra, trasporti. Viceversa, parla tedesco tutta la parte elettrica ed elettronica dei nostri impianti», spiega Vito Perrone, direttore tecnico della veneziana Ftp Industrie, un gioiellino 4.0 nelle macchine alesatrici e fresatrici a controllo numerico, che ha in Germania il primo mercato di sbocco oltreconfine. «Ad allarmarci sono i concorrenti spagnoli che ci stanno rubando quote tra i buyer tedeschi e sebbene non ci eguagliano ancora per qualità delle macchine utensili hanno prezzi più aggressivi e gli stessi vantaggi di moneta unica e prossimità geografica», aggiunge Perrone.
«C’è dunque concorrenza ma anche tanta complementarietà tra Italia e Germania - commenta Franco Mosconi, professore di Economia e politica industriale all’Università di Parma -. Noi abbiamo quello che Romano Prodi chiama il “meccano”, ossia imprese piccole e medie che unite formano un insieme: loro conseguono economie di scala, noi raggiungiamo vette molto alte nella specializzazione».
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