Chi comunica – e bene – vince. Basterebbe questa frase a spiegare l'affermazione di Matteo Salvini sugli alleati di governo del M5s. Perché, com'è ampiamente noto, la contesa politica si gioca sul terreno della comunicazione e in particolare sui social media, in questo frangente di secolo. Letto sulla base dei risultati delle consultazioni europee, le scelte comunicative divergenti dei due vicepremier possono essere lette con nettezza e cognizione di dati. Tanto da poter identificare con chiarezza i tre errori di Di Maio e le tre frecce vincenti di Salvini.
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Diciamolo subito: l’Aventino social del M5S non ha pagato. Al contrario, si è rivelata vincente la scelta di Matteo Salvini di puntare con decisione sulla comunicazione digitale, inondando di post il suo account Twitter e scegliendo di sponsorizzare molti post pubblicati su Facebook.Come registrato a una settimana circa dal voto, il MoVimento 5 Stelle ha deciso di ridurre enormemente i post sponsorizzati sulla piattaforma fondata da Mark Zuckerberg . Una scelta particolare, soprattutto alla luce dell’origine digitale di questo movimento. Al contrario Matteo Salvini è il personaggio politico che sui social ha investito di più e in maniera più targettizzata (non di rado individuando età e genere del pubblico cui parlare). Un budget pari a 128.782 euro (circa tre volte quanto stanziato dal M5S), spesi da marzo fino a sabato 25, di cui circa 41mila nell’ultima decisiva settimana. Denaro speso per veicolare non solo i lanci degli appuntamenti pubblici ma i commenti alle vicende di cronaca e soprattutto i messaggi chiave della campagna.
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Il che conferma che si esiste - politicamente e non - se si è presenti in rete. Altrimenti ci si riduce all’irrilevanza. In un paese in cui gli italiani sono connessi alla rete in media per 2,3 ore al giorno, in cui 31 milioni di cittadini (gran parte elettori) consultano Facebook - diventata per molti primaria fonte di informazione - è evidente l’importanza strategica di questo canale. Ce lo aveva spiegato lo scorso anno il caso Pesaro, dove il ministro degli Interni uscente Marco Minniti, che aveva impostato una campagna sul territorio snobbando la rete, venne sconfitto pesantemente dal grillino “impresentabile” Andrea Cecconi.
Conquistare gli indecisi dell’ultimo momento si può se si ha una strategia: se nelle settimane e nei mesi precedenti è stato veicolato un messaggio coerente con la capacità di intercettare i desideri e le esigenze degli indecisi. In questo, la campagna messa a punto dal guru di Salvini, Luca Morisi, si è rivelata vincente grazie soprattutto a due semplici artifici retorici: la domanda e il saluto. Il «bacioni» salviniano è diventato presto un refrain che ha attecchito facilmente nell’immaginario di sostenitori così come di detrattori. Ma ancora maggiore è stata la forza del punto interrogativo: “chi domanda comanda”, recita un vecchio adagio, che psicologi e coach hanno ingegnerizzato e che in questo frangente è stato trasformato in un potente strumento di engagement politico, che nei mesi scorsi ha costituito il terreno di contatto con ampie fasce di elettorato “volatile” e non legato a identità tradizionali precise.
Poteva essere una strage, immagino l’angoscia dei genitori. Ma come si fa ad affidare la vita dei bambini a uno cos… https://twitter.com/i/web/status/1129461472675946496
– Matteo Salvini(matteosalvinimi)
Per chi non rivendica una radicata coscienza o appartenenza politica, è difficile non condividere affermazioni di principio come questa.La domanda è stato il “punctum“ caratterizzante anche la dialettica di Salvini nelle apparizioni televisive («Mi sento dare del disumano perché vado in giro con il crocifisso in tasca. Posso chiedere l'aiuto di Maria o qualcuno si offende?»). Tanto da preparare il terreno a un messaggio che negli anni 80 sarebbe stato definito come decisionista.
#Salvini: Per voi e per i miei figli io do la vita, non mi fermo davanti a niente e nessuno!
– Matteo Salvini(matteosalvinimi)
Ben differente l’approccio del Movimento 5 Stelle che nelle ultime settimane prima del voto per eleggere il Parlamento europeo, ha operato una sterzata in direzione moderata che non è passata inosservata: toni pacati, elogio delle istituzioni, cravatte ben stette su grisaglie, toni che in definitiva sono apparsi poco coerenti con l’approccio storico di una formazione che ha giocato tutto sul «cambiamento». È presto per dire se il riposizionamento non sia stato capito dal movimento o se abbia pesato l’operato dell’Esecutivo a guida Conte in questo anno di governo. Di certo ciò che ha distinto la comunicazione politica di Salvini da quella di Di Maio è stato soprattutto il climax: mentre il M5s si è limitato a conquistare il centro, quella del vicepremier leghista è stata una strategia, con un punto di partenza e uno di arrivo
Nei mesi scorsi sono stati numerosi i post pubblicati su Facebook e su Twitter, in cui Salvini appariva intento in una serie di attività di vita quotidiana, tra cui spiccava in varie forme e declinazioni il tema centrale del cibo (con qualche divagazione con la fidanzata di allora): dalla Nutella ai gelati passando per altre pietanze, questi messaggi hanno costruito una forte prossimità tra il brand Salvini e il largo pubblico italiano. Scene di vita vissuta di un uomo comune che hanno cementato - post dopo post - l’immedesimazione tra il leader politico e i potenziali elettori, cui ha fatto seguito l’engagement prodotto dalle domande, fino all’assertività del messaggio politico delle ultime battute di campagna elettorale. Da questo punto di vista, quella che i suoi detrattori chiamano la tweet-governance è semplicemente un uso accorto di un media seguito da oltre la metà della popolazione italiana. Fatte le debite differenze con gli Usa e la televisione, è stato un attento uso del mezzo televisivo che ha consentito Jfk di battere Nixon alle presidenziali del 1960.
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