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Lavoro, il flop dei centri per l’impiego: solo il 2,1% ha…

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Servizio |Relazione Bankitalia

Lavoro, il flop dei centri per l’impiego: solo il 2,1% ha trovato un posto

Nel 2018 tra chi ha trovato un’occupazione alle dipendenze nel privato solo il 2,1% è passato per i centri per l’impiego: si tratta di 23mila persone. La relazione annuale della Banca d’Italia evidenzia un’azione assai limitata dei Cpi nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, segnalando che tra i disoccupati da meno di 12 mesi la quota di quanti si sono rivolti ai centri pubblici nelle quattro settimane precedenti l’intervista è del 26,3%, il 22,7% tra i disoccupati di lunga durata e il 23,9% tra gli inattivi che hanno compiuto almeno un’azione di ricerca (pur non essendo pronti a lavorare). Il flusso medio mensile è di 740mila persone.

Offerta formativa solo per un disoccupato su 10
L’attività più frequente dei disoccupatiche si recano presso i Cpi è la verifica dell’esistenza di offerte di lavoro (nel 36,1%), seguono le pratiche amministrative varie, solo il 9,7% riguarda la consulenza e l’offerta formativa. L’efficacia del Cpi è assai «limitata» nell’incrocio tra la domanda e offerta di lavoro: solo il 7% di quanti negli ultimi dodici mesi si sono rivolti ad un centro per l’impiego ha trovato un posto grazie alla loro intermediazione.

Con l’avvio del reddito di cittadinanza, la preoccupazione espressa nella relazione di Bankitalia è che i Cpi «potranno trovarsi a gestire una platea di utenti significativamente più elevata rispetto a quella attuale e con profili di bassa occupabilità, che ne renderanno più complessa l’operatività».

L’entità del sussidio può scoraggiare la ricerca di lavoro
La relazione evidenzia due criticità: la «generosità» dell’integrazione al reddito, che può raggiungere i 780 euro mensili per un single in affitto e diminuisce all’aumentare del reddito da lavoro, «potrà scoraggiare l’accettazione o la prosecuzione di rapporti di lavoro precari e non particolarmente remunerativi». Soprattutto per quei segmenti con prospettive occupazionali già limitate (giovani, con impieghi precari e nel Mezzogiorno).

La seconda criticità riguarda la struttura del sussidio che «potrebbe favorire forme di lavoro irregolare, se le misure sanzionatorie previste dalla legge trovassero difficile applicazione».

Incentivo alle imprese con efficacia ridotta
L’incentivo alle imprese, sotto forma di uno sgravio contributivo che va da un minimo di 5 ad un massimo di 18 mensilità dell’importo del Rdc, è condizionato al rispetto di requisiti «particolarmente stringenti» (incremento occupazionale netto, assunzione a tempo indeterminato full time) che «potrebbero ridurne l’efficacia».

Peraltro, i profili per i quali le imprese incontrano maggiori difficoltà di reclutamento sono quelli tecnico-specialistico e manageriale, meno presenti tra i potenziali percettori del Reddito di cittadinanza.

Il Reddito di cittadinanza più generoso del Rei
Secondo l’Istat nel 2017 circa 5 milioni di persone si trovavano in condizione di “povertà assoluta”(lo 0,5% in più del 2017 e 5,3% in più sul 2007). L’incidenza «rimane significativamente superiore nel Mezzogiorno» (11,4% dal 3,8% nel 2007), tra i minori (12,1%, dal 3,1% nel 2007) e tra le famiglie di soli stranieri (29,2%, dal 23,4% nel 2014).

Nel 2018 il governo Gentiloni ha erogato il Reddito di inclusione (Rei) per il contrasto alla povertà: ne hanno beneficiato 462mila famiglie (1,3 milioni di persone), l’importo medio mensile percepito è stato di 296 euro (309 nel Mezzogiorno).

Dallo scorso aprile il Rei è stato sostituito dal Reddito e dalla Pensione di cittadinanza che ammonta in media a 520 euro, secondo le prime rilevazioni dell’Inps. Le domande sono arrivate da circa 1,3 milioni di nuclei (oltre 3 milioni di persone), con un tasso di esclusione tra il 25% e il 27%.

Sostegno meno vantaggioso per nuclei con minori e stranieri
Nel confronto con il Rei, il Rdc è più generoso per un nucleo con un singolo componente che vive in abitazione in affitto e non percepisce altri redditi (l’importo raggiunge i 780 euro mensili contro i 188 euro del Rei), mentre è «relativamente meno generoso per i nuclei con minori rispetto a quelli con soli adulti», perchè la scala di equivalenza adottata per riproporzionare il beneficio tenendo conto dell’ampiezza familiare prevede maggiorazioni più basse per gli ulteriori componenti del nucleo, specie se minori.

Il Rdc è più selettivo del Rei nei confronti dei cittadini stranieri, in quanto prevede un requisito di dieci anni (anziché due) di residenza in Italia escludendo dalla platea degli aventi diritto circa 90mila nuclei che avrebbero avuto diritto al Rei (l’8% del totale).

Il 35% dei poveri non possiede i requisiti per il Rdc
La platea di potenziali aventi diritto del Rdc coincide solo in parte con quella dei poveri assoluti: tra questi il 6% non rispetterebbe il requisito di residenza e il 35% non sarebbe in possesso dei requisiti reddituali e patrimoniali richiesti.

La relazione della Banca d’Italia evidenzia un alto livello di disomogeneità territoriale nel grado di sovrapposizione tra la platea degli aventi diritto al Rdc e quella dei “poveri assoluti”: tra costoro nel Mezzogiorno il 72% ne beneficerebbe, al Centro il 57% e al Nord il 45%. «La maggiore presenza di stranieri e il più elevato costo della vita, che non si riflette in requisiti di accesso differenziati, contribuiscono a spiegare questa differenza».

Rispetto a un’ipotetica situazione senza alcuna misura di sostegno, un’adesione piena al Rdc comporterebbe una riduzione dell’incidenza della “povertà assoluta” dal 7,36 al 4,4% (con il Rei l’indicatore si attesterebbe al 6,2%). Mai numeri dell’Inps ci dicono che siamo ancora lontani dall’adesione piena.

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