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Conte e la lotta contro le «logomachie» dei due vicepremier

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UN ANNO A PALAZZO CHIGI

Conte e la lotta contro le «logomachie» dei due vicepremier

A parafrasare il titolo di una canzone si può dire che quella di Giuseppe Conte alla guida del governo giallo-verde è stata finora una “vita da mediatore”. Un anno a barcamenarsi tra due soci di maggioranza parecchio litigiosi, provando a far convivere due capi politici di partiti che in 365 giorni si sono scambiati il ruolo di prima forza di maggioranza con conseguente rischio di rovesciamento della barca. E lui, l’autoproclamato “avvocato del popolo”, nel mezzo a mediare, sopire, smussare, richiamare i due vicepremier. Fino a minacciare le dimissioni quando il livello dello scontro si fa insostenibile. E arrivare a porre un ultimatum come nel discorso di oggi agli italiani.

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I sobbalzi nel governo
La lotta di Conte contro le «logomaiche» giallo-verdi - come lui stesso ha una volta scherzosamente chiamato le polemiche politiche - comincia da subito e accompagnerà quasi quotidianamente l’azione di governo. Eppure a settembre, superati i primi cento giorni da premier, scrutava l’orizzonte con ottimismo. Le elezioni europee di maggio? «Non ci saranno sobbalzi nel governo». Previsione sbagliata. Perché su ogni passaggio e su quasi tutti i temi il rapporto tra Lega e Cinque Stelle ha prodotto scintille. Già il mese dopo, infatti, nello scontro cruento sul decreto fiscale per il caso della “manina” che avrebbe ampliato le maglie del condono, le cronache politiche descrivono un Conte profondamente irritato con i suoi vicepremier fino al punto di mettere sul tavolo la minaccia delle dimissioni.

Il limite alla politica del rigore
Passata la logorante fase di trattativa con l’Europa sui conti pubblici, a gennaio è sul tema migranti che la torsione tra alleati si fa quasi insostenibile. L’odissea dei 49 migranti bloccati a bordo delle navi delle Ong Sea Watch e Sea Eye al largo di Malta fa deflagrare lo scontro all’interno del governo. «Accogliamo donne e bambini, c’è un limite ad ogni politica del rigore», è costretto a dire il premier Conte contro i “porti chiusi” di Salvini e i naufraghi fermi in mare da quasi venti giorni.

Studiare prima di parlare
Il clima da perenne campagna interna alla maggioranza non trova sosta. Così nei giorni del Family Day a Verona il sottosegretario Vincenzo Spadafora (M5S) in un’intervista molto critica nei confronti dell’alleato di governo esclude future intese con la Lega. «Spadafora si occupi di rendere più veloci le adozioni, ci sono più di 30mila famiglie che attendono di adottare un bambino» rintuzza Salvini. Costringendo il premier a un richiamo ufficiale: «La delega in materia di adozioni è attualmente ed è sempre stata in capo al ministro della Lega Fontana. Spetta quindi a Fontana adoperarsi - come chiesto da Salvini - per rendere le adozioni più veloci», si leggeva in una nota di palazzo Chigi. Ma non basta. Le continue liti hanno già stancato il premier che ne approfitta per un richiamo rivolto a tutti i soci di maggioranza: «Rimane confermato che bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare nei ministeri tutti i giorni e studiare le cose prima di parlare altrimenti si fa solo confusione».

I passacarte
Ma il richiamo all’ordine funziona per poco. Inizia la primavera e il leader della Lega annuncia lo stralcio del Salva Roma ai cronisti davanti Palazzo Chigi prima del Consiglio dei ministri convocato per decidere proprio sulla norma. Un mossa che fa infuriare il compassato premier. «Non siamo tuoi passacarte», avrebbe detto il capo del governo a Salvini con conseguente invito a un maggior rispetto per l’organo collegiale di governo. Lo scontro tra alleati su vari temi (dalle province alle autonomie) va avanti ma ad aggravare la situazione arriva il caso Armando Siri. L’avvertimento ai vicepremier arriva stavolta da Pechino, dove il premier è in visita di Stato: se continuano i litigi da campagna elettorale, si rischia di «mettere in discussione il percorso di cinque anni di governo del cambiamento».

L’illusione ottica
La litigiosità interna preoccupa anche chi guarda all’Italia dall’estero. Conte parla allo spagnolo El País e assicura: è una «illusione ottica» che nel governo «comandi Salvini» e anche l’instabilità politica è effetto della campagna elettorale. Dopo le europee tornerà il sereno. Intanto c’è spazio per una nuova fonte scontri sui migranti. Salvini: «Non c’è presidente del Consiglio o ministro Cinquestelle che tenga, in Italia i trafficanti di esseri umani non arrivano più». Il premier vede messa in discussione la sua terzietà ed è costretto a precisare: «Conte non partecipa alla competizione elettorale e non si lascia certo coinvolgere nella dialettica che la sta caratterizzando. Piuttosto invita tutti i ministri a mantenere toni adatti a chi rappresenta le istituzioni. Il presidente del Consiglio non dà e non ha mai dato ordini. Come previsto dall’art. 95 della Carta dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Coordina l’attività di tutti i ministri, nessuno escluso». Parole che riportano la calma solo per qualche ora. Poi il mediatore si rimette al lavoro fino all’ultimo tentativo di oggi nel suo discorso agli italiani.

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