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Nomine, così è montato lo «scandalo» al Csm

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La ricostruzione

Nomine, così è montato lo «scandalo» al Csm

Un «centro di potere» per decidere le nomine esternamente al Csm, l’organo di autogoverno della magistratura. Attorno a questo ruota lo scandalo che sta investendo il Consiglio e che ha già portato 5 consiglieri a lasciare l’incarico. Attualmente risultano in carica al Csm 11 togati e 5 laici (lo scioglimento è previsto con 10 togati e 5 laici), che compongono il dimezzato consiglio con le sue correnti (una specie di partiti politici che compongono il Consiglio superiore della magistratura). Tra dimissioni e autosospensioni hanno lasciato l’incarico Luigi Spina e Gianluigi Morlini della corrente di centrista di Unicost (quest’ultimo presidente della Quinta commissione, quella che conferisce le nomine); Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli di Magistratura indipendente, di centrodestra.

GUARDA IL VIDEO - Corsa per la Procura di Roma, indagato ex presidente Anm Palamara

Il prologo: l’inchiesta sulle tangenti al Consiglio di Stato
Per comprende la vicenda, che ruota attorno alla figura del pm di Roma Luca Palamara, ex consigliere del Csm con Unicost ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, bisogna fare un passo indietro di alcuni mesi. A quando il pm capitolino Stefano Fava indagava, col coordinamento del procuratore capo Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo, su un giro di tangenti dietro le sentenze del Consiglio di Stato. Una inchiesta che ha portato numerosi magistrati nel registro degli indagati e che ha individuato un gruppo di potere che manipolava le decisioni. Si tratta degli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che si servivano dei «servigi» del faccendiere Fabrizio Centofanti, personaggio legato alla magistratura italiana. Attraverso una associazione, Centofanti era riuscito a creare una rete di rapporti con magistrati che partecipavano a seminari e corsi giuridici. Un «sistema» che lo aveva messo in contatto anche con lo stesso Luca Palamara. Ed è proprio indagando su questi fatti che il procuratore Pignatone, l’aggiunto Ielo e il sostituto Fava scoprono questi rapporti Centofanti-Palamara. Com’è prassi i vertici dell’ufficio giudiziario di Roma decidono di inviare gli atti alla Procura di Perugia, competente a indagare sui magistrati di Roma.

L’inchiesta: corruzione di Palamara
A Perugia emerge un quadro desolante: Palamara risulta essere stato corrotto con 40mila euro (particolare smentito dagli indagati) per far nominare il pm Giancarlo Longo - già travolto da inchieste corruzione in atti giudiziari - alla Procura di Gela. Non solo: utilizza un esposto al Csm - fatto dal pm Fava che accusava Pignatone e Ielo di non essersi astenuti quando l’inchiesta sul Consiglio di Stato ha fatto emerge aspetti (penalmente irrilevanti) relativi ai rispettivi fratelli – per fare un dossieraggio contro gli stessi Pignatone e Ielo. Nel registro degli indagati finiscono: Palamara (corruzione e rivelazione del segreto), Fava (rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Spina (rivelazione del segreto e favoreggiamento).

Il «centro di potere» esterno al Csm
Intercettando, però, i magistrati hanno scoperto ulteriori fatti. Ossia l’esistenza di un «centro di potere» esterno al Csm, in cui Palamara, Spina e i consiglieri Corrado Cartoni e Antonio Lepre dialogavano della nomina alla Procura di Roma con parlamentari Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo già sotto processo a Roma nel caso Consip. I fatti, tutti penalmente irrilevanti, fanno emerge anche un presunto ruolo di altri due consiglieri: Gianluigi Morlini presidente della Quinta commissione del Csm, quella che conferisce le nomine, e Paolo Criscuoli. Stando a quanto emerge, Palamara appoggiava la nomina del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, definito dai più «l’anti-Pignatone». Nei fatti, il 23 maggio scorso la V Commissione ha deliberato per la nomina di Viola (contro il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, più «filo-Pignatone»).

La smentita di Morlini: incarichi regolari
Sulla vicenda però è intervenuto Morlini, il quale ha ammesso di aver partecipato a una cena in cui c’era anche Lotti, ma di non aver mai parlato di nomine. Anzi, ha spiegato che «ho espresso nel merito il mio convinto voto di minoranza a favore del candidato Giuseppe Creazzo, che ho sostenuto sin dall’inizio della discussione della pratica». Morlini ha aggiunto «ciascuna delle decisioni è stata da me presa in piena coscienza ed in perfetta autonomia, senza condizionamento alcuno dalla Politica, dall’esterno o da chicchessia; e si tratta tra l'altro di decisioni distoniche rispetto a pretesi accordi raggiunti al di fuori dell'attività consiliare di cui si parla in alcuni articoli di stampa». Un modo, dunque, per affermare che la nomina di Viola giunge da una valutazione interna al Csm e non da influenze esterne.

Bufera al Csm: scandalo come la P2
Al Consiglio però è esplosa la bufera. Il vice presidente del Csm David Ermini ha detto che «degenerazioni correntizie» al Csm hanno favorito «giochi di potere e traffici venali» sulle nomine strategiche negli uffici giudiziari più importanti d’Italia. Per il consigliere Giuseppe Cascini (Magistratura democratica, di centrosinistra) lo scandalo può essere assimilato a quello della P2 che negli anni ’80 portò al coinvolgimento di molti magistrati legati alla loggia. «In quella occasione – ha detto – la magistratura seppe trovare l'orgoglio e il coraggio di una risposta ferma, immediata, rigorosa». Cascini ha aggiunto che in questo caso «l’attacco» viene da «centri di potere occulti che operano fuori dall’istituzione», riusciti a penetrare a «causa dell’indebolimento del ruolo del Consiglio».

Il documento condiviso dei consiglieri togati e laici
Secondo un documento condiviso da tutti i consiglieri, anche se i fatti sono «penalmente irrilevanti» - dicono i consiglieri togati e laici – gettano comunque «discredito sull’Istituzione in cui si incarna la magistratura italiana». Per questo, aggiungono, s’impone «un serio, profondo, radicale percorso di revisione critica e autocritica, di riforma e autoriforma dell’autogoverno, dei metodi di selezione delle rappresentanze dell'etica e della funzione». I consiglieri ne sono convinti: «La delicatezza della situazione impone di eliminare ogni ombra sull’Istituzione di cui siamo componenti, che deve essere e apparire assolutamente indipendente, libera di approfondire e di valutare, nell'ambito delle competenza che la legge attribuisce al Consiglio superiore della magistratura, quanto sta emergendo anche riguardo ai comportamenti di magistrati che del Consiglio fanno parte».

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