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Blitz Gdf in sede milanese Privat Kredit Bank: nel mirino 400 milioni…

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indagati 18 manager

Blitz Gdf in sede milanese Privat Kredit Bank: nel mirino 400 milioni nascosti al Fisco

Perquisizioni sono in corso presso la sede milanese della Privat Kredit Bank, istituto svizzero che controlla l’italiana Cassa Lombarda. Su disposizione della Procura della Repubblica di Milano i militari del Nucleo di polizia Tributaria della Guardia di Finanza milanese sono alla ricerca di carte, files e tabulati di corrispondenza elettronica inerenti ai rapporti intrattenuti nel corso di dieci anni dalla banca con la clientela italiana. Sono 18 i manager indagati con l’ipotesi di reati di riciclaggio e frode fiscale. L’inchiesta è nata dalle verifiche su 198 clienti italiani che hanno portato un totale di 409 milioni di euro a Lugano per nasconderli al Fisco e poi li hanno fatti riemergere con la «voluntary disclosure».

L’acquisizione di documenti nasce da un'inchiesta, congiunta tra Guardia di Finanza e Settore Contrasto Illeciti dell’Agenzia delle Entrate, coordinata dal pm Elio Ramondini ed è seguita in prima persona dal procuratore capo Francesco Greco.

L’attività investigativa di questa mattina trova il suo fondamento in un’analoga indagine aperta dalla procura di Milano (pm Gaetano Ruta) nel 2014 nei confronti del Credit Suisse, che aveva portato alla scoperta di una vera e propria centrale distributiva di polizze le cui tracce, da Milano, portavano attraverso la Svizzera direttamente alle Bermuda. Una sorta di servizio “chiavi in mano” di esterovestizione di capitali a chiari fini di elusione ed evasione fiscale: un catalogo di strumenti finanziari e assicurativi costruiti ad hoc per la clientela più selezionata della blasonata banca elvetica.

Nel corso delle perquisizioni effettuate a suo tempo, nella memoria di uno dei pc in dotazione a un gestore della banca, era stata trovata una lista di circa 4mila clienti italiani che avevano aderito al piano di investimento nelle polizze Unit linked del Credit Suisse Life and Pension. L’inchiesta era sfociata poi in una lunga teoria di patteggiamenti e aveva portato al rientro di oltre cento milioni di euro nelle casse dell’erario.

L’operazione odierna nasce da un’ipotesi investigativa strettamente connessa alla precedente: se la prassi seguita dal Credit Suisse era tanto “consolidata” e la strada così battuta – è la tesi della Procura – è possibile, se non probabile, che anche altre banche estere presenti in Italia abbiano agito con modalità analoghe. Così la Procura, forte della massa di dati affluiti alla chiusura della Voluntary disclosure (l’operazione di regolarizzazione di capitali conclusa nel 2017), ha stilato un elenco di oltre 230 banche estere autorizzate a operare in Italia che hanno aderito alla voluntary per conto della propria clientela.

Tra gli obiettivi dei militari c'è quello di verificare se, a ciascuna delle operazioni di voluntary portata a buon fine, effettivamente corrispondesse un reato fiscale e non (come già è stato accertato in due recenti e distinte inchieste chiuse dalla Procura di Bergamo) un reato di natura completamente differente. Ossia operazioni di maquillage finalizzate a imbellettare e rimpatriare capitali a suo tempo esportati in seguito a bancarotte fraudolente o altri reati in operazioni di riciclaggio, spacciandoli per “semplici” frutti di violazioni tributarie. Sotto osservazione degli investigatori, a quanto risulta al Sole24Ore, vi sarebbe anche un'altra modalità operativa su cui rintracciare eventuali responsabilità penali.

In gergo tecnico si chiama “Back to back”. Si tratta di una prassi bancaria già adottata ai tempi del caso Parmalat. Allora a metterla in pratica era stata proprio la Bank of America avente come controparte Fausto Tonna, direttore finanziario dell'azienda casearia di Calisto Tanzi. Come funziona il back to back? La Banca internazionale concede a un imprenditore italiano (in Italia) una linea di credito o un affidamento di altra natura, trattenendo a garanzia risorse dell'imprenditore che già giacciono depositate presso le sue filiali all'estero. L'imprenditore ripaga il suo debito nel corso del tempo pagando gli interessi pattuiti. L'ipotesi è che lo faccia con risorse provento di reato. Incorrendo in questo modo in due distinti profili di violazione: le prima fiscale con il mancato pagamento delle ritenute d'acconto sugli interessi sborsati alla banca. La seconda, più grave, di potenziale riciclaggio

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