«L’avevamo detto». Così Federpreziosi ha commentato l’indagine della Procura dei Milano per una presunta truffa nella vendita dei diamanti da investimento. In questa vicenda la lista dei “l’avevamo detto” sarebbe molto lunga a partire dalle risposte ai lettori di Plus24 nel maggio 2013 e agli appelli che sempre Plus24 nel novembre 2014 faceva invocando una legge per i diamanti come quella del 17 gennaio 2000 che disciplina il mercato dell'oro da investimento e i suoi intermediari.
Già la Consob con la comunicazione 13038246 del 6 maggio 2013 sottolineava che l'acquisto di diamanti - anche in banca - non si considera «investimento finanziario», ma evidentemente non è stato sufficiente per mettere al riparo migliaia di risparmiatori rimasti invischiati in questo meccanismo.
Come funzionava la compravendita
Il perno centrale del sistema è stata la fitta rete di sportelli bancari (gli istituti coinvolti nell’inchiesta sono Banco
Bpm - Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Montepaschi) . Difficile immaginare un successo così capillare, con migliaia
e migliaia di clienti coinvolti in tutta Italia, per i diamanti da investimento, senza il canale bancario. Il primo step era
quello della segnalazione: l’impiegato bancario proponeva a un cliente una forma di investimento alternativa. L’acquisto di
una pietra preziosa con interessanti prospettive di apprezzamento nel medio e lungo e termine e un canale facile per la rivendita.
Le corpose commissioni alle banche
Il contratto poi veniva stipulato direttamente tra il fornitore delle pietre (Idb e Dpi, convolti nell’inchiesta e tra i
principali player del settore) e il cliente. Alla banca venivano retrocesso corpose commissioni, anche tra il 15-20% del valore.
«A noi risulta - spiega Giuseppe D’Orta, responsabile Aduc per la tutela del risparmio - che i contratti venivano fatti firmare
direttamente dagli impiegati di banca, non sempre in presenza del rappresentante del fornitore dei diamanti».
Aumento del valore non realistico
Le banche si sono sempre difese facendo leva sul ruolo di semplice “segnalatore”, ma l’intervento dell’Antitrust e l’inchiesta
in corso hanno fatto emergere un ruolo non secondario degli impiegati degli istituti di credito, che promuovevano attivamente
anche con brochure i diamanti e prospettavano questa soluzione (come evidenziato da alcune testimonianze) come investimento
a basso rischio, una sorta di bene rifugio con la prospettiva di un aumento del valore del capitale investito calcolato sulla
base di listini, rivelatisi poi non realistici rispetto ai prezzi di mercato. Una volta venduto il diamante veniva preso in
consegna dal possessore oppure lasciato in custodia.
Il mancato obbligo di riacquisto
La Consob ha affermato nel 2013 che l'acquisto in diamanti non può essere considerato un investimento finanziario e quindi
non è soggetto alle regole di vigilanza tipiche del settore finanziario. Questo significa, che in caso di disinvestimento,
non c'è l'obbligo di riacquisto da parte dell'intermediario. In realtà sulla prospettiva di un facile ricollocamento del diamante
a prezzi vantaggiosi è stata fatta molta leva per la diffusione dei diamanti da investimento. Ma le banche in quanto segnalatori
non erano vincolate a riprendersi i diamanti e gli stessi fornitori di pietre, con cui veniva stipulato il contratto, davano
un generico impegno al ricollocamento. Non un garanzia di riacquisto, perché ciò avrebbe fatto scattare le norme sull'investimento
“finanziario”.
Aggirati i controlli di Consob e Bankitalia
Se nel contratto non sono indicati un rendimento (l'eventuale guadagno alla rivendita non è rendita finanziaria ma semplice
plusvalenza) oppure un impegno o patto di riacquisto (ma solo disponibilità a rivendere le pietre) né Consob né Bankitalia
possono vigilare.
Sistema oliato, poi gli intoppi
Per anni il sistema ha funzionato senza intoppi: i diamanti venivano venduti ai risparmiatori come investimento di medio e
lungo termine e i pochi riscatti che c’erano (disincentivati anche da una sorta di penale di uscita del 10% circa) venivano
assorbiti dagli intermediari.
Il 15 ottobre del 2016 la società Idb, interpellata da Plus24, sottolineava che in 40 anni di attività tutti i mandati di vendita erano stati soddisfatti «con un tempo medio che recentemente è sceso a 45 giorni». Nello stesso numero di Plus 24 Salvatore Gaziano (SoldiExpert Scf) metteva in guardia sulle anomalie di questo business: i consulenti indipendenti erano bersagliati da richieste di informazioni da parte dei clienti, incuriositi da questa nuova moda. Poi nei giorni successivi, sempre a ottobre 2016, arrivò la puntata di Report e come ricordano gli stessi rappresentanti dei consumatori, il tema è esploso su larga scala, sono aumentate le richieste degli investitori e il sistema ha iniziato a mostrare le sue falle (discrepanza tra prezzi di acquisto e vendita, eccetera).
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