La scoperta del nome di Vasco Rossi (ma anche quelli di altre persone mediaticamente “sovraesposte”) nelle liste dei clienti acquirenti dei diamanti da investimento distribuiti dal Banco Bpm e da altre quattro banche colpisce ma non sorprende. La lista dei Vip colpiti da malasorte finanziaria (ma anche da truffe di vario genere e gravità) è lunghissima. Se ne deduce che, almeno in tema di denaro, nessuno può dirsi davvero al riparo da rischi e inciampi. Vi sono scivoloni che potremmo definire “interni” cioè causati da “errori” commessi dai medesimi diretti interessati: veri e propri «autogol», anche se d’autore.
Tipico è il caso di Gino Paoli e Gianna Nannini, entrambi finiti sotto indagine per evasione fiscale. Il procedimento a carico dell’ex presidente della Siae (si dimise allo scoppio del caso) venne prescritto (fu impossibile datare con certezza le esportazioni di denaro verso la Svizzera), quanto alla rock star senese uscì da un’analoga vicenda con un patteggiamento a un anno e due mesi. Vi sono poi gli incidenti “esterni”. Le truffe vere e proprie. Ed è qui che la casistica diventa lunga e in qualche caso interessante.
Il primo caso noto di un Vip rimasto vittima di un raggiro è quello di un calciatore svedese, Lennart Sgoklund, detto Nacka,
ala sinistra dell’Inter degli anni 50, con i nerazzurri vincitore di due scudetti (nel 1953 e 1954). Nel 1958 gioca i mondiali
con la sua Nazionale e arriva in finale (persa con il Brasile). Ma al suo rientro a Milano scopre di non avere più nemmeno
una lira. Nacka era stato truffato dal suo consulente che, in sua assenza, gli aveva prosciugato il conto in banca.
Dalla storia alla cronaca
L’ultima vittima di una truffa in ordine cronologico è un ex senatore di Forza Italia di Caserta, Pasquale Giuliano, già vicepresidente
del Co.Pa.Co., il comitato parlamentare di controllo dei Servizi d’intelligence. Vittima dello schema Ponzi messo in piedi
dal consulente casertano di 71 anni Luigi Fiordiliso. Un caso in piena evoluzione, scoperto dagli inquirenti pochi giorni
orsono. L’investimento “civetta” proposto dal Fiordiliso era in titoli di società petrolifere e del rame. Pare che però, almeno
l’ex Senatore, sia riuscito a rientrare in possesso del suo denaro. Oltre che di un quadro del settecento fattosi consegnare
dallo stesso Fiordiliso a parziale compensazione del maltolto.
Professione e finanza
Restiamo in Campania e riavvolgiamo il nastro al maggio 1996. La Sim Professione & Finanza fondata a Napoli dal campione di
off shore Antonio Gioffredi e da Antonio De Asmundis, collassa. Contestualmente affonda anche lo studio del cugino, l'agente
di cambio Guido De Asmundis. Il doppio crack fa tremila vittime per una cifra stimata in 200 miliardi di lire. Tra i tremila
investitori figurano medici, avvocati, magistrati, uomini e donne di spettacolo. La créme della créme partenopea. Tra loro
a fare notizia furono due nomi: quello di Marisa Laurito, attrice brillante resa celebre dal programma di Renzo Arbore «Quelli
della notte». Ma soprattutto quello dell’allora Cardinale di Napoli, ora scomparso, Michele Giordano, il cui nome era già
finito sui giornali a causa di alcuni procedimenti giudiziari per usura e abusi edilizi da cui, peraltro, uscì assolto.
Il marmo nero
Più o meno nello stesso periodo, in Emilia Romagna e in Veneto un pattuglione di promotori finanziari, evidentemente insoddisfatti
delle provvigioni erogate dalle case mandatarie, si fa convincere a vendere porta a porta i titoli di una società alquanto
misteriosa. La Imisa sa. La società era (o asseriva di essere) la licenziataria esclusiva per l’estrazione di una preziosa
e rara qualità di marmo nero da una cava peruviana. I soldi vengono raccolti, smistati in una banca di San Marino, e da qui
s’involano per una banca di Saint Vincent alle Grenadines (Caraibi). La New Bank limited, fondata da due faccendieri, Armand
e suo figlio Thierry Nano (poi chiusa dall’Fbi per riciclaggio). Qui i soldi spariscono. A cascarci sono in tanti. Tra i
malcapitati, spicca Roberto Baggio, persuaso a investire da un promotore finanziario veneto di una primaria società di distribuzione.
Ma non è il solo. A investire nell’Imisa ci sono anche Billy Costacurta e Sebastiano Rossi. A loro parziale consolazione va
detto che tra le vittime di Armando Nano, in passato, vi sarebbe stato anche un capo di Stato. Niente meno che il presidente
Egiziano Gamal Abdel Nasser che, negli anni sessanta, da Nano avrebbe acquistato una trentina di carri armati di cui l’Egitto
sta ancora aspettando la consegna. Nemmeno l’attuale ct della Nazionale di calcio Roberto Mancini è passato indenne dai rischi
dell’investimento facile: punta infatti una parte del suo denaro in una cooperativa di Tarquinia, la Co.fi.ri. che crolla
e perde tutto.
La parola ai Parioli
La ferita aperta da Gianfranco Lande e dal suo gruppo di società la Egp, la Dharma e altre, cadute nella polvere trascinando
con sé oltre 700 vittime è ancora fresca nella mente di molti romani frequentatori del prestigioso circolo Aniene, luogo prediletto
da svariati clienti di Lande. Tra le “vittime” I fratelli Vanzina, il giornalista ed ex senatore Paolo Guzzanti, le figlie
Caterina e Sabina e l’allora compagno, il cantautore David Riondino, il cantante e attore Massimo Ranieri, la principessa
Claudia Ruspoli e altri calciatori: Ruggiero Rizzitelli insieme alla moglie Catia Artusi e al suocero, Arnaldo Artusi. E ancora
l’ex portiere della Roma Doniéber Alexander Marangon, detto Doni e la soubrette Samantha De Grenet.
Nell’ingranaggio finisce anche Fabio Calenda, padre di Carlo, ex ministro dello Sviluppo economico. Calenda Senior sulla vicenda ha scritto un romanzo amaro ma godibilissimo («I soldi sono tutto» edito da Mondadori). E di nuovo calciatori: Paolo Cristallini, ex centrocampista al Torino e poi al Bologna e Giuseppe Zinetti, già portiere di Bologna e Roma e Giovanni Stroppa. Nella rete finisce pure il deputato del Pd, Pier Domenico Martino e lo zio della ex ministra Marianna Madia, il principe del foro Titta Madia, scomparso nel 2017.
Alto lignaggio
Altri vip romani vengono coinvolti in un’altra truffa. Questa volta l’ambiente è quello della nobiltà «nera» che orbita intorno
al circolo degli Scacchi e alla nobiltà «bianca» che preferisce il Circolo della caccia. Il crack è quello della Auditors.
Un altro schema Ponzi. Tra i truffati risultano Eleonora De Fonseca Pimentel, Anne de Bellefroid, moglie del principe Ottavio
Lancellotti, il direttore del centro di formazione Elis (vicino all’Opus Dei), Massimo Fontana Gribodo, l’avvocato Andrea
Muratori e ancora Jacopo Gassman, uno dei figli del «mattatore» Vittorio Gassman ed Emanuele Timothy Salce, il figlio del
regista e sceneggiatore della serie di Fantozzi, Luciano Salce. Tra i clienti della Auditors anche il cantante Renato Zero
e il duca Giulio Grazioli. Uno degli organizzatori della rete Giovanni Paganini Marana, fiduciario genovese muore suicida,
sprangando così definitivamente il cancello sui segreti di un misterioso conto omnibus aperto presso Banca Etruria in cui
confluivano pressoché tutti i patrimoni dei clienti.
Fiduciari e sfiduciati
Un altro fiduciario romano Enrico Maria Pasquini, imparentato con la famiglia Nasi (uno dei rami della dinastia Agnelli) sin
dagli anni ’80, fu il primo a capire le potenzialità immense offerte da una piazza finanziaria off shore in piena Romagna.
La sua Smi, è la prima fiduciaria aperta da un italiano nella Repubblica di San Marino. Pasquini apre una società fiduciaria
anche a Roma. La Amphora e, non contento, pure una banca alle isole Vanuatu, la United International bank. In questo caso
non si tratta di una truffa ma di una vera e propria centrale di raccolta di denaro esentasse. I clienti italiani versano
i soldi alla Amphora. Da qui il denaro viene spostato a San Marino e di nuovo alla Uib (United international bank) e, in seguito,
riveicolato verso l’Italia a seconda delle minute necessità.
La Procura di Roma apre un’inchiesta, affidata alla Pm Perla Lori che delega le indagini al Nucleo valutario della Gdf. Gli uomini dell’allora comandante, il Generale Giuseppe Bottillo, scoprono una lista di 1.400 nomi tutti ritenuti «renitenti al fisco» . Tra questi Graziano Rossi (padre di Valentino), il cantante Adelmo Fornaciari (detto Zucchero), l’ex presidente del Bologna Calcio, Giuseppe Gazzoni Frascara, i Berloni (cucine componibili), i De Simone Niquesa (acque Uliveto e Rocchetta), l’ex calciatore Lorenzo Marronaro, ora procuratore, con il suo commercialista Marco Iannilli (già coinvolto nelle indagini su Finmeccanica ed Enav).
Dalla lista emergono anche i nomi di alcuni immobiliaristi, tra cui Federico Consolandi, legato alle indagini sull’omessa dichiarazione di vendita di appartamenti di pregio nel centro di Milano, ceduti alla show girl Belen Rodriguez, ai calciatori Massimo Ambrosini e Christian Abbiati e al procuratore Davide Lippi, figlio dell’ex Ct della Nazionale Marcello.
Potremmo continuare a lungo. Ma perché i cosiddetti Vip si fanno gabbare in maniera così grossolana? Almeno per i calciatori e gli uomini di spettacolo la risposta appare piuttosto semplice. I primi, nella maggioranza dei casi, si trovano da giovani o giovanissimi ad affrontare il problema della gestione di enormi masse di denaro con poca o nulla esperienza di vita (eccezion fatta per allenamenti, gare e discoteche). I secondi vivono in un mondo dove la tensione creativa e le pressioni dell’industria artistica sono spesso totalizzanti e non lasciano spazio (né tempo) ad alcuna forma di pianificazione finanziaria. Ciò li rende particolarmente vulnerabili al pressing di consulenti e venditori che di fronte a portafogli particolarmente «pesanti» mettono da parte scrupoli, deontologia, etica e norme di trasparenza pur di ottenere un beneficio economico immediato.
Ma a concorrere spesso in maniera decisiva è la “maleducazione finanziaria” dei protagonisti, ossia quella cattiva preparazione sul tema finanziario che in Italia è molto diffusa e che non fa eccezione tra cantanti, calciatori o artisti. Anzi. È di tutta evidenza che chi eccella in un campo ben di rado possa automaticamente primeggiare in altre sfere della vita; ciò rende soprattutto i soggetti lontani dalla consuetudine con la materia, vulnerabili a errori, ed esposti a truffe e malversazioni. Anche per questo, un minimo di attenzione alla cura del proprio denaro è indispensabile per evitare brutte sorprese.
L’educazione finanziaria consiste proprio in questo: aver conoscenza, competenza e un minimo di consapevolezza nella gestione del proprio denaro, considerando alcune semplici regole, come quelle indicate dal Comitato nazionale per l’Educazione finanziaria che lavora per migliorare il livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani (siamo 63esimi su 148 paesi, con solo il 37% dei cittadini in grado di rispondere alle domande di base in materia).
Tra queste spicca quella secondo cui a maggior guadagni corrispondono maggiori rischi: chi in tutta sincerità poteva pensare di incassare rendimenti superiori al 10% senza correre rischi? È necessario essere “esperti” per far sorgere qualche dubbio? Evidentemente no. Ma è il caso di sottolineare come la radice della cattiva educazione finanziaria di alcuni soggetti “vulnerabili” sia composta da diversi fattori, alcuni combinati insieme.
Gli studiosi di finanza comportamentale li definiscono bias cognitivi, ossia convinzioni fondate spesso su percezioni errate o deformate, che originano decisioni frettolose, poco fondate e, di conseguenza, sbagliate. Si prenda l’emulazione: spesso siamo indotti a investire imitando le scelte di chi riteniamo esperto in un argomento, dimenticando per esempio che ciò che ben si attaglia a una persona non è per forza coerente con il nostro profilo di rischio. Correlato a questo vi è la underconfidence, cioè la scarsa fiducia nelle proprie competenze: che scatta, più spesso di quanto sembri, quando si ha a che fare con una materia complessa come la finanza.
Di converso la overconfidence o “illusione del controllo” colpisce chi ha dato la propria fiducia a intermediari truffaldini e/o ha investito in strumenti troppo rischiosi. O a cui viene attribuito un valore superiore a quello che effettivamente possiede: il bene reale, dall’immobiliare, ai preziosi – diamanti compresi - appare, in ragione della sua concretezza, più affidabile degli strumenti finanziari, per loro natura dematerializzati.
Il pregiudizio su un’asset class contribuisce a mettere in luce prodotti il cui valore non è quotato in Borsa e pertanto non è né liquido né trasparente. Lo confermano le due vicende simbolo della crisi bancaria di questi ultimi anni: quello dalla Banca popolare di Vicenza e quella di Veneto Banca, i cui titoli, non quotati in Borsa e illiquidi, erano stimati su cifre sideralmente più elevate rispetto al loro valore reale. Ed è proprio su tali valori, completamente disancorati dalla realtà, che si è innescato il diabolico meccanismo delle garanzie ai finanziamenti «baciati», che in questi anni stanno intasando le aule dei Tribunali di mezza Italia.
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