La Prima della Scala

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Cultura-Domenica Teatro e danzaQuante lascive dal cuor d'oro

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Quante lascive dal cuor d'oro

Esisterà certamente, in questo istante, qualcuno che stia guardando il film Pretty Woman. Nel medesimo istante e in altro luogo probabilmente remoto, un'altra persona, diversissima dalla prima, sta leggendo gli Annales di Tacito, e la commuove l'animo sublime della prostituta Epicharis, torturata dagli aguzzini di Nerone ma irremovibile, lei unica fra i congiurati, nel non denunciare complici, risoluta a darsi la morte per non cedere ai tormenti.

È ragionevole credere che le due persone, per esempio un ragazzo del Wisconsin con la sua girl friend in un cinema drive in, e una svedese professoressa di latino e greco in pensione desiderosa di rileggersi gli amati classici, siano destinate a ignorarsi per sempre. Non sanno di trovarsi, in quell'istante, ai due estremi della corsa di uno stesso ascensore: la coppietta è all'ultimo piano, o in soffitta (in una mansarda con abbaino?), la vegliarda insegnante in un seminterrato, se non addirittura in cantina.
Che cosa significa questo? Nella nostra esperienza didattica insieme con eccellenti giovani compositori, registi e scenografi, "ascensore" è la metafora da noi adottata per definire le fasi storiche attraverso le quali un'opera per musica, dall'Orfeo di Monteverdi a Wozzeck a 1984 di Maazel, mette radici, spunta dal terreno, cresce ad alto fusto, emette fiori, foglie, frutti, aromi, sapori, e si prolunga in curiose propaggini. Prendiamo Carmen, prediletta da Nietzsche. Non basta, a un regista o a uno scenografo, conoscere bene la partitura: anche il libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dev'essere posseduto a fondo. E ancora non basta: come può, un regista di Carmen, non aver letto il racconto di Prosper Mérimée? Ma poi si è afferrati da un raptus, si vuole andare ancora più a fondo, verso le sfacciate e lascive puellae gaditanae (le ragazze di Cadice) di cui parla Giovenale. Sono i piani inferiori, gli strati profondi; i piani superiori sono tutto ciò che dall'opera di Bizet è nato, le innumerevoli fantasie pianistiche o violinistiche, i film di Carlos Saura, di Francesco Rosi...

La traviata, che quest'anno inaugura la Scala, dà risultati particolarmente ricchi, in "su" e in "giù". Li riassumiamo, nella persuasione che il pubblico, qualora seguisse il nostro percorso culturale e si preparasse così allo spettacolo, ne trarrebbe straordinario apprendimento e, di conseguenza, maggiore felicità d'ascolto. Nei piani più profondi che l'ascensore possa raggiungere esistono figure archetipiche, antichi miti. Menandro (342-290 a.C.), nella commedia Epitrépontes (I garanti, circa 310 a.C.), delinea fra i primi il personaggio: la prostituta Abrótono è amata dal giovane Carisio, sposato con Pamfila: alla fine di un'intricata e spesso esilarante trama, il vecchio Smicrine, padre di Pamfila, persuade Abrótono a uscire dalla vita di Carisio per non rovinare una famiglia, e lei, rassegnata e saggia, accetta. La trama di Menandro rivive nell'ultima e bellissima commedia di Terenzio (190 circa-159 circa a.C.), Hecyra (La suocera, 160 a.C.). Scrittore latino ma originario o di Cartagine o di una città libica vicina, Terenzio aggiunge dolore acuto e incomprensioni crudeli in Hecyra, Violetta-Abrótono qui si chiama Bacchide, Alfredo-Carisio è Pamfilo, Germont-Smicrine qui si chiama Lachete, padre questa volta di Pamfilo. La generosa e remissiva Bacchide, persuasa dal vecchio padre dell'amante, dichiara di essere stanca della vita di prostituta, e di volere che Pamfilo e sua moglie, dal marito abbondantemente tradita, vivano d'amore e d'accordo. Nella commedia ellenistica e romana, è tema circolante quello della prostituta che è migliore delle donne "per bene". Tacito (circa 54-circa 120 d.C.), in Annales, XV, 51 e 57, parla della liberta Epicharis, ragazza che si dà a chiunque per interesse ma capace d'impiccarsi per evitare la debolezza della carne: «Fra tanti senatori, alti ufficiali e uomini d'arme, che vilmente denunciarono i loro parenti, un donna da poco, di piccola virtù, unica fu irremovibile».

«De te fabula narratur», guarda che questo racconto, questa "pièce" teatrale, parla anche di te: così Orazio ammonisce il lettore (Satire, I, 1, 69-70). In un palinsesto ricco e vario qual è La traviata, la vita reale s'interpone tra le invenzioni letterarie, ed è la storia vera di Alphonsine Rose Plessis, poi Marie Duplessis (Noront-le Pin, giovedì 15 gennaio 1824-Parigi, mercoledì 3 febbraio 1847), amante del duca Agénor de Gramont, allontanata per intervento del padre di lui, e morta di tisi. Ne derivò il dramma La dame aux camélias (1852) di Alexandre Dumas figlio (Parigi, mercoledì 28 luglio 1824-Yvelines, mercoledì 27 novembre 1895), su cui l'anno dopo si fondò il libretto scritto per Giuseppe Verdi da Francesco Maria Piave (Venezia, venerdì 18 maggio 1810-Milano, domenica 5 marzo 1876). La traviata andò in scena alla Fenice di Venezia domenica 6 marzo 1853. L'esito fu, per così dire, un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.

Con il nesso Piave-Verdi, libretto-musica, l'ascensore ci deposita al piano nobile: a metà corsa. Ai piani più alti rampicano i film, molti: George Cukor in Marguerite Gautier (1936) riprende la triste commedia di Dumas con Greta Garbo e Robert Taylor, Carmine Gallone ci dà un'opera filmata (La signora delle camelie, 1947), con Nelly Corradi, Gino Mattera, Tito Gobbi, Massimo Serato. Altri film, allusivi e indiretti, ripetono piuttosto l'archetipo: Garry Marshall in Pretty Woman (1990) con Julia Roberts e Richard Gere; Baz Luhrmann in Moulin rouge! (2001) con Ewan McGregor e Nicole Kidman, un amore del 1899 con il povero Christian e Satine maliarda e malata a morte. L'ascensore ci porta subito sotto il tetto con la canzone Il baratto dal «Carrozzone» di Renato Zero alias Renato Fiacchini, in cui si cita ripetutamente la melodia di «Amami, Alfredo!». Sul tetto svetta, fiore estremo e imprevisto, il sonetto delle tre geniali specialiste in enigmi musicali, Monica Bernardi, Carla Conti-Guglia, Elena Marcelli: «Colui ch'ereditò nome e mestiere / di chi narrò d'un nobil mascherato...». Riassume tutta la corsa dell'ascensore, meglio del nostro affannoso discorso.

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