Cultura-Domenica Teatro e danzaRaffinati voli russi
Raffinati voli russi
di Marinella Guatterini | 1 dicembre 2013
C'è molta Russia nella nuova stagione di balletto del Teatro alla Scala: Russia vecchia e nuova, Russia espatriata con i Ballets Russes di Sergej Djagilev e molto dopo; Russia che ha incontrato l'America; Russia che esporta i suoi talenti e li lascia fuggire nel mondo, come mai aveva fatto in passato. I titoli del cartellone, scelti da Makhar Vaziev, direttore non a caso osseto, e al via a metà dicembre, ottemperano, tuttavia, alla più consona missione di un grande complesso coreutico: mantenere in vita la tradizione del balletto e quei classici del repertorio, come Il lago dei cigni, Don Chisciotte e per il Novecento Romeo e Giulietta e Jewels, invece negati a piccoli complessi, o a formazioni non in grado di restituirne lo stile, e l'aura.
L'inaugurazione? Dopo il successo, nel maggio 2012, di Concerto DSCH, – un breve balletto atletico, brioso, dominato dallo squillante colore arancio dei costumi, innervato di piccole evanescenti tracce narrative e perfettamente costruito sulla musica di Šostakovicv–, il direttore Vaziev si convinse della necessità di donare un intero programma a quello che considera, e non è il solo, il maggior coreografo della sua generazione. Così Serata Ratmansky non solo riprendere il fortunato Concerto ma acquisisce Russian Seasons, creato nel 2004 per il Balletto del Bol'šoj quando Alexei ne era ancora il direttore (oggi è coreografo residente all'American Ballet Theatre) e si conclude con Opera, una creazione destinata ai ballerini della Scala.
Come preannuncia il titolo, la coreografia attraversa danzando con un gusto odierno il mondo del teatro musicale, in specie tardo-barocco, a cui anche il compositore Leonid Desyatnikov (lo stesso di Russian Seasons), conferirà un mood contemporaneo. Citare, rinverdire, attraversare la storia è una cifra che sembra unire i due artisti russi, già collaboratori nella confezione di quattro balletti, di cui due a quattro mani, inclusa Opera. Anche le scene video e i costumi mantengono la promessa di evocare pittori d'epoca goldoniana, ma senza scrupoli filologici. Il resto è affidato a dieci coppie: un balletto vive nel corpo dei suoi danzatori e traduce il pensiero di un coreografo che in Russia si concentrò sia sul recupero di pièce censurate nell'era stalinista (Il limpido ruscello, Il bullone), sia di balletti quasi perduti nella loro interezza, come Il Corsaro.
Anche George Balanchine (1904-1983) era un coreografo russo e divenne americano: il fondatore-direttore del New York City Ballet. Ma la sua poetica è opposta a quella di Ratmansky. Innovatore del balletto accademico "dal di dentro", il geniale Mister B. ha sempre puntato alla purezza del movimento anche quando, come in Jewels, rievocò il passato lo fece entro gli argini della danza stessa e appoggiandosi solo alla musica, sua grande e unica fonte d'ispirazione. Nel 2011, Vaziev ha avuto il merito di ricompattare i gioielli balanchiniani (Esmeralds, Rubies, Diamonds), prima presentati singolarmente (alla Scala soprattutto Rubies). Il suo ritorno è più che gradito.
A proposito del Lago dei cigni e del Don Chisciotte, due balletti di un altro russo, precisamente tartaro, scomparso, prematuramente, Rudolf Nureyev (1938-1993), occorre ricordare che le sue versioni dei classici hanno sempre calzato il Corpo di Ballo della Scala come guanti perfetti. Rispettoso dei passaggi originali, appresi quando danzava ancora a San Pietroburgo, il grande ballerino, divenuto coreografo in Europa, non si è mai risparmiato nell'aggiunta di fraseggi complicati destinati ai personaggi maschili di cui lui stesso era stato a lungo protagonista, ma ha anche conferito alle sue versioni una certa corposità espressiva adatta a una compagnia come quella della Scala.
Completano il cartellone due appuntamenti in cui i russi fungono solo da ospiti danzanti (vedi schede): Serata Petit e Romeo e Giulietta. Il primo spettacolo torna a gran richiesta con Pink Floyd Ballet: il pezzo restituisce dignità coreografica e musicale ad un genere, il rock, piuttosto strapazzato in recenti produzioni, forse poco conformi all'aura scaligera. Torna anche con un cult-ballet anni Quaranta che legò il nome dell'allora giovane Petit ai nebbiosi ambienti della Noia di Sartre. Quanto a Romeo e Giulietta, la sua recente tournée in settembre a Tokyo, ha registrato un autentico successo per i meravigliosi passi a due siglati da Kenneth Mac Millan, e non solo. Cronologicamente il balletto, su musica di Prokof'ev, chiude la stagione nell'ottobre 2014. Ma non è l'ultimo: il nuovo cartellone coreutico vanta un settimo appuntamento, inserito nella stagione d'opera. Le Spectre de la rose di Fokin e La Rose malade, ancora di Petit, appagano, infatti, prima di Cavalleria Rusticana, sia il bisogno di tornare alla fulgida stagione dei Ballets Russes, sia certa liricità modernista.
Balletto dal soffio prezioso e liberty, Le Spectre de la rose condensa nella brevità, virtuosismo e poesia; La Rose malade è pure un passo a due e di gran classe. Complice Daniel Harding, sul podio, questo appuntamento a metà vale quanto gli altri sei titoli. E per quanto russo nel concepimento (Le Spectre del pietrobughese Fokin), o nella destinazione (La Rose malade creato da Petit per Maja Plisetzskaja) sfugge al binario maestro su cui corre l'intero cartellone.