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Cultura-Domenica Teatro e danzaTraviata, trionfo dell'Amore sulla morte

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Traviata, trionfo dell'Amore sulla morte

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La Traviata è sempre rimasta un tabù per la Prima della Scala. Troppo insidiosa e troppo delicata. Tra le vertigini emotive di Violetta Valery, enigma fisso della voce verdiana. Nel dedalo di un'interpretazione che fece infuriare persino Arturo Toscanini: il maestro era innamorato dell'opera, ma insoddisfatto di una versione che svicolava sempre dalla sua immaginazione sinfonica. «Colpa dei cantanti» e di una partitura sfuggente, ritoccata dallo stesso Verdi dopo i fischi della prima assoluta alla Fenice di Venezia, anno domini 1853.

Nella notte di Sant'Ambrogio, Daniele Gatti accetta il «regalo del cielo» di dirigere la Traviata come titolo inaugurale della stagione 2013/2014 della Scala. È la seconda volta che incrocia il titolo della trilogia popolare, dopo l'esordio di 10 anni fa a Bologna.
Violetta è Diana Damrau, soprano tedesco che ha già debuttato nel ruolo che sognava fin dall'adolescenza la scorsa primavera, al Metropolitan Opera di New York. La regìa è affidata a Dmitri Tcherniakov, a sua volta all'esordio in una prima scaligera. A vestire i panni di Alfredo e Giorgio Germont saranno Piotr Bezcal e Željko Lucic, apprezzato interprete del Rodolfo nella Bohème nella scorsa stagione (Bezcal) e baritono serbo specializzato in repertorio verdiano (Lucic).

Sull'interpretazione è emerso ancora poco. Gatti ha lasciato intendere che «aprirà nuove vie» nella partitura. Senza sacrificare la tradizione che ha conosciuto da vicino con le incisioni di grandi e grandissimi che lo hanno preceduto - e influenzato - nella sua formazione. Tornano, è certo, brevi estratti dalla partitura della prima assoluta dell'opera. Il cosiddetto "fiascone" del 1853, altro tabù vero e proprio nell'esecuzione verdiana. «La prima proposta mi piaceva di più» ha ammesso Gatti in un'intervista, consapevole del rischio e pronto a incantare la sua Milano con un esperimento inedito. Calato, non a caso, nella notte di Sant'Ambrogio che chiude il bicentenario verdiano e alza il sipario sul 7 dicembre di 160 anni dopo.

«Allora fece fiasco. Oggi fa furore!». La Traviata nella biografia di Verdi
Scrivendo La Traviata, terzo capitolo della trilogia che include Rigoletto e Trovatore,
Giuseppe Verdi sapeva benissimo di scandalizzare i costumi della sua epoca. Il soggetto dell'opera calcava una pièce teatrale di Alexander Dùmas, a sua volta ispirata a un romanzo che aveva creato più di un malumore perfino nella sensibilità libertina della Parigi di quegli anni. La Dame au camèlias, vero e proprio campione di vendite nella letteratura scandalistica della capitale rappresentava, prima in uno scritto autobiografico (1848), poi in un dramma (1852), i tormenti sentimentali di Alphonsine Duplessis. Una cortigiana, l'equivalente di una accompagnatrice di alto e altissimo bordo, scomparsa a soli 23 anni. Nella sua provocazione, il tema si sposava benissimo con il secondo periodo artistico di Verdi, meno corale e più attento alle piegature psicologiche dei suoi eroi. Ma rischiava, e sarebbe stato così, di far storcere il naso a una censura elastica ma non troppo sulle richieste del Maestro e i libretti firmati da Francesco Maria Piave.

Un tribunale mai repressivo come quello di Venezia impose a Verdi di cambiare il titolo, da un generico «Amore e morte» a un più netto - e, per ovvie ragioni, fortunato - «Traviata». Ma al tempo stesso, costrinse il Maestro a sfilare dalla prima ricostruzione un elemento centrale: la contemporaneità. La parabola dell'omologa verdiana della Duplessis, Viola Valery, si ricollocava all'improvviso in un XVIII secolo che vanificava la familiarità scenica con la società dell'800. Vestiti, parrucche e cenni di attualità che avrebbero dovuto far scattare un processo di identificazione, o almeno similarità, scomparivano in una retrodatazione che non rendeva giustizia né al modello di Dumàs né a una provocazione che Verdi eseguiva «con piacere».

Come era già successo del resto con il Rigoletto, e come Verdi ribadiva in carteggi che manifestavano il carattere più sanguigno e meno istituzionale del compositore. Le perplessità dell'autore sulla versione retrospettiva dell'opera furono confermate dal pubblico. Complice una compagnia di canto anziana o inadeguata agli impulsi teatrali del dramma, la prima della Fenice fu un fiasco assoluto. Un anno e due mesi dopo, in un teatro meno imponente come il San Benedetto e con alcune "irrilevanti" modifiche sui toni, la Traviata iniziò la consacrazione storica che l'avrebbe resa tra i titoli più amati dell'opera di Verdi.

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