Impantanati in una crisi finanziaria gravissima, spesso si guarda all'exploit della sharing economy tipicamente californiana con un sentimento misto fra invidia e meraviglia. Le storie di startup come Uber e Airbnb, per citarne alcune, sono prove lampanti di successi globali. Startup che hanno trasformato idee in miliardi, come scrivevamo qui. Eppure, ad analizzarla in fondo questa sharing economy, il discorso rischia di prendere una piega dai risvolti del tutto inaspettati. Un'analisi del Wall Street Journal è impietosa, e parla di nuovo feudalesimo e di servi della gleba, di salari bassi e di diritti del lavoratore che di fatto non esistono. Perché il punto centrale, in fondo, è quello contrattuale. Un affittacamere di Airbnb, piuttosto che un autista di Uber o di Lyft, non è mica un dipendente. Proprio su Uber i numeri spiegano bene tutte le vulnerabilità del sistema. Perché se da un lato l'azienda di San Francisco parla di 20mila nuovi autisti al mese, c'è da capire gli effetti reali sul mercato del lavoro.
Escludendo il costo di partenza (se vuoi lavorare per Uber devi avere un'auto di proprietà, e se non ce l'hai te la compri e chissà quando ammortizzerai la spesa), i numeri relativi ai possibili guadagni non sembrano del tutto veritieri. Secondo un report abbastanza recente, un autista Uber in una città americana come Los Angeles o Washington, guadagnerebbe più di 17 dollari l'ora. Un dato che non può essere ritenuto reale, poiché, come fa notare il Wall Street Journal, non tiene conto delle spese degli autisti. Più verosimile la tesi della giornalista Emily Guendelsberger, che in un'inchiesta fra i driver di Uber a Philadelphia ha calcolato il loro salario in 10 dollari netti. Insomma, siamo molto lontani da quei 90mila dollari annui di reddito medio prospettati da Uber qualche mese fa relativamente ai suoi autisti di New York. Molto più plausibile parlare di reddito da lavoro part time.
Uber, come la sua rivale Lyft, non sono veri e propri posti di lavoro. I dati dimostrano che l'80% dei loro conducenti hanno altri impieghi, o sono alla ricerca di un altro lavoro. Uber, inoltre, ha confermato che il 51% dei suoi autisti guida per meno di 15 ore a settimana.
La sharing economy, insomma, sta cambiando il tessuto lavorativo, ma non lo sta migliorando. Anzi, ha scatenato una confusione che sta avendo diverse conseguenze anche dal punto di vista legislativo, come l'inquadramento dei dipendenti, che dipendenti non sono. E il pericolo che una class action possa far crollare il castello, è sempre dietro l'angolo.
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