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Mossa industriale nel risiko europeo

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LO SCENARIO

Mossa industriale nel risiko europeo

(Olycom)
(Olycom)

L’ultimo colpo in ordine di tempo l’ha battuto Amazon. Il gigante di Seattle ha annunciato ieri l’avvio del servizio Prime Video, con film e serie in streaming in oltre 200 Paesi. Insomma, il player che ha rivoluzionato il mercato dei libri (e non solo) sfruttando al massimo le potenzialità di web ed e-commerce, ora punta sui contenuti video.

Per r chi fosse alla ricerca della “pistola fumante” indicativa della rivoluzione copernicana che sta avvenendo nel mercato del consumo di video (un tempo neanche troppo lontano appannaggio solo della televisione) la discesa in campo di Amazon risponde al requisito, pur non essendo né la prima, né l’ultima. Del resto basta considerare quel che ha prodotto l’irrompere sulla scena mondiale di Netflix. Guardando anche solo all’Italia, gli abbonati al servizio sarebbero attorno ai 170mila (stima recente di Pwc perché dal colosso californiano ovviamente non arriva nulla). Ma ai broadcaster tradizionali è bastato solo subodorare l’arrivo del colosso del videostreaming, oggi presente in più di 190 Paesi con oltre 86 milioni di iscritti, per partire in anticipo (per una volta è andata così) rispetto allo sbarco di Netflix con servizi come Infinity (Mediaset), Skyonline (ora Now Tv), cui si aggiungono fra gli altri Chili Tv o Timvision, già esistenti e che nel frangente hanno ridato slancio alla propria attività.

La chiave per ragionare sui destini del mercato televisivo passa inevitabilmente attraverso un fil rouge che collega videostreaming (possibilità offerta anche e innanzitutto dalla moltiplicazione degli schermi attraverso i quali fruire di contenuti video), reti (inevitabilmente i contenuti pregiati devono poter contare su autostrade capienti e costruite bene), dimensione internazionale dei player. Assolutamente non trascurabile quest’ultimo elemento: come dimostrano le elaborazioni di e-Media Institute (si veda grafico a lato) il mercato internet si caratterizza nel mondo per elevati tassi di concentrazione. Nel mercato dei video online a pagamento (serie tv e film) nelle diverse modalità tre player (Netflix, Apple e Amazon) hanno già il 67% del mercato globale e vedono la loro quota crescere. Se in questo quadro Alphabet-Youtube dovesse entrare con maggiore decisione sul mercato dei contenuti video premium (ora ha una quota quasi inesistente), il peso dei colossi del web (tutti made in Usa) potrebbe arrivare ben oltre il 90 per cento.

Si può obiettare che la tv tradizionale, free e in chiaro, continui ad avere un peso preponderante e che le dimensioni dei due mercati (tv tradizionale e consumi di videostreaming) siano molto distanti ancora. È vero, ma le abitudini di consumo di video stanno cambiando molto velocemente. E qui si inseriscono i nuovi player, di dimensioni, come visto transnazionali. In questo senso, che il video on demand bussi prepotentemente alla porta della tv tradizionale, quasi a voler buttar giù l’architrave del palinsesto come lo abbiamo conosciuto finora, lo dicono anche alcuni studi.

Il Report Tv & Media del ConsumelLab di Ericsson – rappresentativo delle abitudini di 1,1 miliardi di consumatori in 24 Paesi – indica una percentuale settimanale di tempo trascorso a guardare tv e video su dispositivi mobili in crescita dell’85% fra 2010 e 2016, nel mondo. Ai consumatori piacciono sempre di più le maratone “binge watching” (il 37% guarda due o più episodi di seguito dello stesso programma su base settimanale) e solo concentrandosi sull’on demand il tempo speso nella visualizzazione di contenuti à la carte è aumentato del 50% dal 2010. Limitando l’analisi al dato italiano, il sorpasso fra on demand e tv lineare è già in un certo senso avvenuto, dal momento che il 55% degli intervistati dichiara di preferire l’on demand rispetto alla tv tradizionale.

Certo, c’è un’importante disclosure in questo ragionamento. Il panel di riferimento dello studio Ericsson (per l’Italia la proiezione è su 26 milioni di abitanti) è composta da consumatori fra 16 e 69 anni già dotati di connessione internet a banda larga in casa e che vedono contenuti video almeno una volta a settimana. Insomma, una platea già avanti quanto a uso della tecnologia.

Va dall’altra parte considerato però che la tv del futuro inizia a misurarsi con l’esigenza di accompagnare gusti e aspettative di questa tipologia di clientela. Non è un caso che proprio Vivendi nelle ultime settimane abbia lanciato in Italia il servizio “Studio +”: miniserie (10 minuti ogni episodio) pensate soprattutto per i Millennials. Il tutto con investimento totale di 70 milioni nel 2017.

Da queste considerazioni passano inevitabilmente le mosse che sul mercato ormai intrecciato di tv e tlc stanno prendendo forma sempre più chiara. Sky ha da un paio d’anni fatto una scelta paneuropea, unendo le attività di Uk, Irlanda, Germania, Austria e Italia e ora 21st Century Fox ha deciso di non limitarsi al 39% posseduto in Sky Plc, puntando ad acquisirne la totalità. Servono spalle forti per affrontare un futuro in cui AT&T, colosso delle telecomunicazioni Usa, si è mosso su Time Warner. Triple-play o Quad-play (offerte integrate) sono la realtà in Uk e Usa. In Uk l’ingresso di BT nella pay-TV è stato roboante con la conquista dei diritti dello sport. In Spagna, dopo l’acquisizione da parte di Telefonica di Digital + e l’acquisizione di Ono da parte di Vodafone, l’intero mercato della pay-TV è in mano a operatori di telecomunicazione.

Nello scacchiere globale Vivendi, come Mediaset, si trovano a competere in questo scenario. L’unione avrebbe potuto fare la forza, almeno questo era stato promesso. Mediaset ha i contenuti, la leadership pubblicitaria in Italia e un affaccio importante e redditizio in Spagna. Vivendi ha contenuti, massa, ma anche la possibilità di mettere a frutto sinergie via Telecom. Per ora però il conflitto fra le società ferma qualsiasi prospettiva strategica. Con ogni probabilità, a nocumento di entrambi.