Il dottor Stranamore è ancora tra noi. A quasi trent'anni dalla fine della Guerra Fredda, l’umanità rischia ancora di estinguersi per un conflitto nucleare innescato per errore, proprio come nel celebre film di Stanley Kubrick. A lanciare l’allarme è un recente e interessantissimo report dell’Onu, più precisamente dell’United Nations Institute for Disarmament Research, dal titolo Understanding Nuclear Weapon Risks. Uno studio di grande attualità scritto proprio nelle settimane in cui Trump ordinava al Pentagono un dossier sull’arsenale nucleare statunitense e su come può essere usato come arma “deterrente” (per dissuadere da attacchi contro gli Usa).
Il nodo più pericoloso resta quello del cosiddetto launch-on-warning, l’attacco nucleare scatenato da Stati Uniti o Russia come ritorsione a un lancio - presunto ma non reale - di missili nemici. Una fine del mondo provocata da un errore fatale, proprio come nella letteratura o nella fiction cinematografica. Sì perché, come ricorda l'esperto di armi russe Pavel Podvig nel report dell’Onu, i tempi per il lancio di una ritorsione nucleare prima che le rampe missilistiche vengano colpite da un attacco nemico sono maledettamente brevi.
Solo otto minuti per decidere. Considerando che un missile balistico intercontintale russo o statunitense impiega circa mezz’ora a colpire il territorio nemico, il presidente degli Stati Uniti avrebbe appena otto minuti per ordinare il contrattacco. E quello russo ancora meno tempo, data l’estensione geografica del Paese.
Non tutti sanno che l’olocausto nucleare è stato sfiorato più volte. Poco dopo la mezzanotte del 26 settembre 1983, per esempio, il sistema sovietico di allarme Oko segnalò il lancio di cinque missili nucleari statunitensi su Mosca. Era un clamoroso errore del sistema di “early warning”, che aveva scambiato i riflessi del tramonto sulle nuvole per missili balistici intercontinentali. Ma se siamo qui a raccontarlo è perché il giovane tenente colonnello Stanislav Petrov, che avrebbe dovuto ordinare il contrattacco nucleare sugli Stati Uniti, si rifiutò di credere a un lancio di soli cinque missili, salvando il mondo (ma perdendo il posto). Ora il timore è: ci sarà un tenente colonnello Petrov la prossima volta?
I limiti della prevenzione della Guerra Fredda sono ancora tutti lì, spiega Podvig: concatenazioni di eventi inaspettati, naturali o dovuti a errori umani, che il sistema di “early warning” nucleare non si aspetta. E che richiedono un elemento di giudizio umano, con la conseguenza di rendere il sistema ancor più vulnerabile.
Il brutto è che i vecchi limiti della prevenzione si associano oggi a nuovi rischi dovuti a un contesto di estrema complessità, «caratterizzato da numerose interazioni tra attori indipendenti che possono creare situazioni impossibili da prevedere», con inedite concatenazioni di errori fatali. Sì perché negli ultimi vent’anni gli Stati dotati di missili balistici si sono moltiplicati, mentre gli accordi che dovrebbero regolare i lanci sperimentali (per esempio attraverso notifiche ufficiali) procedono a rilento. Il diffondersi di missili da crociera e di droni complica ulteriormente le cose, ponendo altri pericoli.
Un esempio recente di come possono essere micidiali le concatenazioni di errori si è verificato l’11 settembre 2001. Durante l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, erano in corso ben tre esercitazioni: una di bombardieri russi in volo verso gli Stati Uniti, una di bombardieri nucleari americani disposta dall’United States Strategic Command (Stratcom) e un’altra che simulava un attacco di bombardieri russi ordinata dal North American Aerospace Defence Command (Norad). Cosa sarebbe accaduto se nella massima confusione e concitazione di quei momenti qualcuno - uomo o macchina - avesse messo in relazione l’attacco a New York e al Pentagono con i bombardieri russi e la loro esercitazione?
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