La stagione calcistica entra nel vivo e, con essa, la stagione del calcio in Tv: c’è chi le partite le guarda su Sky e chi su Mediaset Premium. Poi ci sono quelli che di sottoscrivere un abbonamento alla pay tv non ne vogliono sapere ma a guardare sul piccolo schermo le gesta dei propri beniamini in pantaloncini corti non rinuncerebbero per nulla al mondo. Quelli che un minuto prima del fischio d’inizio digitano su Google parole chiave come «guardare partite gratis» e si ritrovano dirottati su portali appoggiati a server che hanno sede chissà in quale Stato canaglia.
Folklore? Altro che: non sanno o forse fingono di non sapere che, con un paio di click, assicurano ricavi ad attività illegali messe in piedi nella migliore delle ipotesi da un pool di smanettoni, nella peggiore da professionisti al servizio della criminalità. E, come se non bastasse, questi furbetti dello streaming a sbafo aprono i loro pc, tablet e cellulari ad attacchi informatici che un giorno potrebbero portare parecchi grattacapi.
L’ascesa dello streaming illegale
Lo scenario di fondo è quello della pirateria informatica che diventa fenomeno globale. Non a caso a marzo di quest’anno, mentre a Firenze era in corso il G7 della cultura, media company e detentori di diritti di tutto il mondo - da Vivendi a The Walt Disney Company, da Canal Plus alla Bbc, passando per le stesse Sky e Mediaset fino ad arrivare alla Premier League e alla nostra Serie A - scrissero ai ministri presenti all’evento per chiedere loro interventi concreti a contrasto del fenomeno.
In questo scenario, esplode con una potenza dirompente il sotto-fenomeno dei servizi online che ri-trasmettono abusivamente i segnali streaming di televisioni vere e proprie. «I modelli di business - spiega Luca Vespignani, managing director di Dcp, azienda che aiuta le media company a difendersi da questi fenomeni - sono due: uno gratuito, l’altro a pagamento. Il primo si sostiene attraverso la pubblicità, il secondo tramite particolarissimi “abbonamenti” pagati dai fruitori. Nel primo talvolta potrebbe esserci anche improvvisazione, nel secondo c’è per forza approccio criminale».
Dai 5mila ai 10 milioni di ricavi
Partiamo dal modello di business «free»: tra i siti più celebri che offrono partite abusive in streaming ci sono Rojadirecta, fondato dallo spagnolo Igor Seoane che ha avuto non pochi problemi giudiziari, ma anche Tarjeta Roja che ne replica il modello o il sito di lingua inglese Hesgoal. Difficile provare a capire «chi c’è dall’altra parte dello schermo», perché i domini in questione sono protetti da servizi Cdn come Cloudflare che li rendono spesso impermeabili alle verifiche degli inquirenti. I siti di questo tipo più frequentati dal pubblico italiano sono circa 60.
Approfittano del fatto che la pubblicità online viene in molti casi venduta «a pacchetto»: i provider possono offrire alle aziende inserzioni su siti che realizzano determinate performance di contatti, senza specificare di quali siti si tratta. E così va a finire che su siti pirata appaiano curiosamente banner di aziende insospettabili. «Nella galassia dello streaming illegale gratuito - spiega Vespignani - troviamo lo smanettone che con un portale home made incassa 5mila euro l’anno, ma ci sono anche realtà più organizzate i cui ricavi vanno dai 30mila euro ai 10 milioni annui». Il prodotto offerto online è gratuito, ma non troppo.
Il calcio gratis «costa caro» agli utenti
Il pubblico collegato da casa in realtà paga eccome, aprendo il proprio computer a malware, spy-bot o peggio. Può accadere che ti istallino, a tua insaputa, un software moltiplicatore di click, usando il tuo device per drogare i dati di accesso a un determinato sito. Può accadere che ti rubino dati sensibili, comprese le credenziali per le operazioni bancarie. Può accadere che trasformino il tuo pc in uno «zombie» e lo utilizzino, assieme a quelli di chissà quanti altri ignari utenti, per attacchi hacker contro chissà quale obiettivo sensibile. Dopo i quali la polizia postale potrebbe bussare alla tua porta.
Dieci euro al mese per un «pezzotto»
Esiste poi un altro modello di business per i furbetti più esigenti: parliamo delle Ip tv illegali o - per descrivere con un termine napoletano un business nato a Napoli -il «pezzotto» dei prodotti Sky o Mediaset. In questo caso l’utente acquista, a un prezzo che può andare dai cinque ai dieci euro al mese, l’accesso abusivo alle pay tv e viene dotato di un vero e proprio kit hardware per la visione a sbafo. Il gioco si regge su strutture piramidali: «In vetta -spiega Vespignani - ci sono gli “originatori” del segnale abusivo, un gradino sotto i “rivenditori”, quelli che lo diffondono agli utenti finali».
Due recenti blitz della guardia di finanza a Napoli e Cagliari hanno portato alla luce organizzatissime centrali di diffusione del fenomeno. «Per tenere in piedi strutture come quelle - secondo Vespignani - servono almeno 100mila euro d’investimento l’anno». Non è troppo difficile immaginare che queste attività servano a ripulire i soldi sporchi delle mafie. Controindicazione non di poco conto per chi sottoscrive un abbonamento pezzotto: quando le forze dell’ordine scoprono il gioco, sotto inchiesta ci finisci anche tu.
Un «buco» da 1,2 miliardi
Quanto vale il fenomeno in termini economici? «La pirateria audiovisiva nel suo complesso - risponde Federico Bagnoli Rossi, segretario generale di Fapav, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali - genera un danno alla nostra economia stimato in 1,2 miliardi di di perdita in termini di fatturato delle aziende, una perdita di Pil di circa 427 milioni e 6.540 posti di lavoro persi».
All’interno di questo quadro, la guardia di finanza stima in almeno 300 milioni l’economia in nero legata alla fruizione di prodotti live come le partite di calcio.
“Per vincere la battaglia è sempre più determinante la collaborazione attiva degli intermediari del web: motori di ricerca, social network e hosting”
Federico Bagnoli Rossi, segretario generale di Fapav
«Un contrasto efficace a questo problema - aggiunge Bagnoli Rossi - deve avvenire sotto diversi aspetti. Tra questi è determinante la collaborazione attiva da parte degli intermediari del web: motori di ricerca, social network, hosting . La nostra recente ricerca rivela come il 56% degli utenti pirata abbia raggiunto i siti illeciti tramite motore di ricerca. È il momento di dire basta ai porti franchi, se vogliamo sconfiggere il fenomeno. Ciascuno deve fare la propria parte».
Per convincere gli appassionati di calcio a non frequentare i servizi illegali si potrebbe fare leva anche su altre argomentazioni: se il mercato degli abbonati alle pay tv è fermo, se le aste per i diritti vanno deserte e se la Serie A è meno ricca degli altri campionati europei tanto che la «coppa dalle grandi orecchie» non arriva a queste latitudini da ormai da sette anni, la colpa è anche dei furbetti dello streaming a sbafo. Che indirettamente indeboliscono le nostre squadre del cuore.
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