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Netflix, Disney e Apple: i nuovi padroni della tv saranno…

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Il futuro del broadcasting

Netflix, Disney e Apple: i nuovi padroni della tv saranno già vecchi

C'è una sintonia strana tra Tim Cook e il capo di Netflix. Il 9 settembre di tre anni fa il Ceo della Apple fu piuttosto diretto: «La nostra visione della tv è semplice e un po' provocatoria: il futuro della televisione è una app». A distanza di tre anni il fondatore di Netflix quella visione non si è limitato a pronunciarla: «Ora che siamo la prima tv globale - gongolava a Roma durante la presentazione del suo nuovo “palinsesto europeo” - tutti si sono accorti di noi. Tutti vogliono fare quello che hai sempre fatto». Reed Hastings emana serenità ma sa che benissimo che essere diventato in brevissimo tempo la più popolare piattaforma di distribuzione di film online non gli farà dormire sonni tranquilli.

Gli altri, quelli che dagli anni Ottanta controllano il piccolo schermo, hanno capito che per restare là dentro da padroni devono imparare a usare internet come rete di distribuzione di contenuti audio-video. E infatti gli analisti di cose tecnologiche affermano che entro il 2022, cioè tra quattro anni, tutte le maggiori reti televisive statunitensi avranno il loro servizio in streaming, andranno diretti sul consumatore.

Il più grosso di tutti si chiama Disney. Entro l'anno prossimo se qualcuno vorrà vedere l'Uomo Ragno o gli Avengers, Guerre Stellari o Frozen dovrà attivare un abbonamento direttamente con loro. Il progetto è quello di tagliare fuori i concorrenti, o chiedere licenze a prezzi stellari. L'operazione è chiara: si tagliano gli intermediari, come ha fatto la stessa Disney con la sua rete sportiva Espn, e si va direttamente sul cliente online aumentando così i ricavi. In fondo è la storia che si ripete. Il vecchio trucco di internet che disintermedia in modo trasversale il settore, rompe le rendite di posizione, polverizza le barriere commerciali e tecnologiche che separano chi produce i contenuti dal suo pubblico.

Qualche esempio? Hbo, la tv via cavo statunitense che possiede la serie più bella della storia - la pluripremiata Game of Thrones - ha annunciato la propria offerta direct-to-consumer nel 2014. La Formula 1, che non è esattamente un attore di piccolo calibro, ha pronto un servizio di abbonamento in streaming per gli Stati Uniti e l'Europa. E poi c'è la partita che si sta giocando intorno ai diritti del calcio e che potrebbe avere ricadute molto interessanti anche sui signori degli “Over the top” (Ott) come Google, Amazon o Facebook, da sempre ai margini di queste competizioni ma voraci di contenuti capaci di fare audience.

Antenne, etere, satelliti e tutti i vecchi arnesi che hanno animato il piccolo schermo si riducono a essere punti di ingresso. Gli abbonamenti da 80-100 dollari al mese oggi subiscono la concorrenza dei 10-12 dollari dei nuovi servizi “nativi digitali”. E poi lo streaming non è un mestiere per tutti: servono soldi e tecnologia.

Tuttavia, non è detto che i nuovi possano vincere. Nella televisione contano anche le dimensioni. E oggi la tv tradizionale può contare su un giro di affari che è dieci volte superiore a quello dei video online. Per i piccoli distributori online il rischio è quello di ritrovarsi tra un paio di anni schiacciati in un mercato che si sta consolidando a ritmo accelerato. A corto di film, show e serie in licenza. O magari senza le risorse per stare sul mercato. Conterà la propria capacità di generare contenuti originali, di passare da distributori a produttori. YouTube, che recentemente ha rivelato una platea di utenti pari a 1,8 miliardi di persone al mese, si muove in questa direzione. Come Netflix che ne ha fatto una bandiera ma ha un numero di abbonati con un ordine di grandezza dieci volte inferiore a quello di YouTube. Questo Hastings lo sa benissimo. Non è un caso che sia venuto in Europa per annunciare un miliardo di dollari per produrre

serie tv, documentari e show. In pratica spenderà più del doppio dello scorso anno allo scopo di rafforzare sia l'offerta in inglese, sia le produzioni in Italia, Germania, Spagna, Francia, Polonia, Olanda e Turchia. Parliamo di produzioni alla House of Card con budget milionari che per essere sostenibili devono tradursi in nuovi abbonamenti. Ai mercati finanziari piace questa dinamica. Si scommette sulle promesse di qualità e si vende sulla crescita degli utenti.

Per le piattaforme di distribuzione come Netflix e YouTube l'unica strada percorribile sembra quella di diventare produttori, al pari di giganti dell'hi-tech come Apple o social network come Facebook. Proprio Facebook si sta ritagliando un posto.

«È importante ricordare che gli smartphone non sono schermi tv, non puoi trasmetterci gli stessi show», ha detto Matthew Henick, fresco capo dei contenuti per Facebook, al MipTv, la fiera dei contenuti televisivi di Cannes. «Le opportunità di intrattenere un pubblico in larga parte tagliato fuori dagli altri media però sono straordinarie: nel mondo ci sono 2,4 miliardi di telefoni, destinati a raddoppiare entro cinque anni». Non a caso il colosso di Menlo Park ha lanciato lo scorso agosto Watch, il suo “canale” per contenuti d'intrattenimento che qualcuno già chiama social tv. «In questo nuovo panorama non esistono più limiti geografici e temporali, si trasmette allo stesso momento in tutto il mondo», spiega Henick «e l'interazione del pubblico non è più solo col contenuto, ma anche con gli altri spettatori».

La sfida tra vecchi broadcaster e pimpanti nativi digitali si giocherà davvero sulla capacità di reinventare contenuti nuovi, sull'interattività e sulla capacità di innovare. Le tecnologie si possono sempre compare, le affinità elettive no. Anche per questo tra Apple e Netflix una certa sintonia c'è sempre stata.

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