Tecnologia

Guadagnare milioni vendendo «negozi Amazon» e siti e-commerce

  • Abbonati
  • Accedi
I NUOVI BROKER DIGITALI

Guadagnare milioni vendendo «negozi Amazon» e siti e-commerce

Una degli ultimi affari andati in porto è stato la vendita di tre siti verticali sulle criptovalute, due in inglese e uno in francese. Messi in piedi nel 2016 da uno sconosciuto imprenditore, incassavano le fee di affiliazione delle varie “Borse” dei Bitcoin a cui rimandavano con recensioni e link. Per catturare lettori utilizzavano Facebook e Twitter. Un sistema semplice e molto redditizio.

Nel novembre 2017, un anno e mezzo dopo l’avvio, i siti guadagnavano qualcosa come 59mila dollari netti al mese. Non male, considerando che la manutenzione richiedeva appena 8-10 ore di lavoro alla settimana. Al momento del culmine della bolla Bitcoin, quando ovunque non si parlava altro che di criptovalute, il creatore dei siti ha deciso con grande saggezza di vendere la sua attività. Ce l’ha fatta in poco tempo, incassando la stupefacente cifra di 1,6 milioni di dollari.

Questa è solo una delle tante storie di imprese online che si possono leggere su Empire Flippers, un broker di siti online, ovvero una specie di “agenti immobiliari” che vendono attività internet anche nate da pochissimo (non di rado per milioni di dollari) fatturando a loro volta milioni di dollari in una nicchia di mercato fino all'altro ieri inesistente.

Altri esempi? Abbiamo un e-commerce che vende abbigliamento e accessori sportivi su tre marketplace Amazon (Stati Uniti, Inghilterra e Germania): creato da zero nell'agosto del 2014, due anni dopo fatturava circa 271mila dollari al mese, con utili netti di 104mila dollari al mese. È stato venduto a quasi 1,9 milioni di dollari. E ancora. Un e-commerce di prodotti per la cura del bambino, sempre su Amazon, creato nel settembre 2016 con un dipendente: solo sei mesi dopo il lancio, manovrando sapientemente su Instagram, fatturava già 156mila dollari al mese con un utile netto di 47mila dollari. Venduto per 731mila dollari. E di esempi ce ne sarebbero tanti altri.

Il trionfo dei business internet - dall’e-commerce alle affiliazioni - ha portato anche a questo: alla creazione di “agenzie di intermediazione” per la compravendita di attività online. Le più famose? Ci sono i marketplace come Flippa, che ha venduto all'asta attività e domini per oltre 200 milioni di dollari, oppure Freemarket, messo in piedi dai creatori di Freelance.com e famoso per le sue commissioni basse.

Poi ci sono i broker veri e propri, che proprio come gli agenti immobiliari effettuano un’attenta verifica dei siti e delle attività candidate alla vendita, individuando il giusto valore del business: nelle loro analisi verificano dati su traffico online e conversioni, feedback dei clienti sui prodotti, oscillazioni stagionali del fatturato, eventuali margini ulteriori di profittabilità, numero e mansioni dei dipendenti (quando presenti).

Uno dei più celebri e strutturati è Fe International, piccolo colosso con sedi a Boston, Londra e Singapore: fondato nel 2010 dall’allora 21enne Thomas Smale, imprenditore seriale internet, oggi è un business a sei zeri che vende aziende online con fatturati tra i 50mila e i 5 milioni di dollari l’anno. Tra le “inserzioni”, spiccano un’attività Amazon di vendita di prodotti di bellezza che fattura quasi 13 milioni di dollari l'anno, oppure una di consulenza nel digital marketing B2B da quasi due milioni di dollari di fatturato annuo (per oltre 1,1 milioni di utie netto). Dalle Filippine opera invece Empire Flippers, che ha una mailing list di circa 45mila potenziali clienti, una ventina di dipendenti e un fatturato annuo nell’ordine delle decine di milioni di dollari annui.

Quali sono le commissioni di queste strutture? In genere i broker caricano fee che oscillano tra l’8% e il 15% del valore della vendita, con percentuali minori per le transazioni di valore più elevato. Ovviamente nelle commissioni è compresa la supervisione di un corretto passaggio di consegne tra venditore e acquirente dell’impresa, dei siti e dei social collegati (con le decine di password), ma anche un congruo periodo di training per il nuovo proprietario dell’attività online.

© Riproduzione riservata