In un mondo in cui siamo sempre connessi, sembra naturale pensare che prima o poi arriveremo a votare elettronicamente, ma il passo da compiere per lasciare le romantiche schede di carte e la matita permanente alle teche dei musei potrebbe essere molto più grande e complesso di quanto non si pensi.
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Dopo quanto abbiamo visto accadere nel 2016, con i tentativi degli hacker informatici di influenzare le elezioni presidenziali statunitensi tramite furto di dati e spionaggio ai danni del candidato democratico, ogni trasformazione digitale applicata alla vita politica
deve essere soppesata con un occhio diverso rispetto al passato.
«Le problematiche relative al voto elettronico – dice Stefano Zanero, professore associato del Politecnico di Milano da tempo
attento ai temi del voto elettronico – sono molte e non tutte connesse con la parte più ‘tecnologica' delle operazioni. Anzi,
le più complesse sono proprio quelle di carattere diverso».
«Finora – continua Zanero – si sono trovate moltissime falle nei sistemi di voto elettronico, sia open source sia proprietari,
ma non si è mai avuta notizia del fatto che siano state sfruttate per falsare una votazione». Questo significa che nessuno
ha mai davvero provato ad arrivare fino “all'ultimo miglio” della compromissione delle elezioni, forse anche grazie al fatto
che in Europa è rimasta solo l'Estonia a usare un sistema di voto elettronico esteso, ma se un giorno qualcuno dovesse decidere
di farlo avrebbe grandi possibilità di trovare delle falle da sfruttare.
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Non è solo una questione tecnologica
Come se il pericolo “diretto” non bastasse, ci sono anche problemi che non dipendono direttamente dalla tecnologia. «Un altro
grave problema del voto elettronico – continua Zanero – è che si pensa di usarlo per rendere possibile il voto ‘a distanza'.
In questo caso, la semplice autenticazione con username e password non permetterebbe alcun controllo sulla vera identità di
chi sta inserendo la preferenza, rendendo molto più semplici ampie operazioni di voto di scambio o di vero e proprio hacking
delle votazioni se qualcuno riuscisse a mettere le mani sul database degli utenti».
Inoltre, c'è il problema degli archivi che andrebbero a raccogliere i voti connessi a Internet. «Le macchine su cui si vota
– dice Zanero – non andrebbero mai collegate in rete, per evitare compromissioni di massa. Se qualcosa è connesso, diventa
vulnerabile».
Non c'è quindi un modo per rendere sicure le macchine per il voto? «Dei sistemi tecnici ci sono, ma sono complessi. Per esempio, si dovrebbe fare in modo che le macchine che registrano i voti
producano anche una prova fisica di quello che viene registrato nel loro database, in modo da poter fare delle verifiche a
campione o in caso di dubbio. Ma ricordiamo che il problema più grande all'adozione del voto elettronico sta altrove».
Infatti, c'è un tema che non ha nulla a che fare con la soluzione tecnologica che si va a usare, ma resta nel campo del principio
alla base della democrazia: la possibilità del controllo. «Quando ci sono delle votazioni – continua Zanero – chiunque può andare in un seggio e controllare che tutto si svolga secondo
le norme, osservando i lavori dall'apertura dei seggi fino alla fine dello spoglio. Informatizzando tutto, questo non sarebbe
più possibile. Solo i tecnici altamente specializzati potrebbero controllare e seguire tutto, tagliando fuori la stragrande
maggioranza della popolazione e questo è incostituzionale in molti Paesi».
Del resto, questo è proprio il motivo per cui la Germania e l'Olanda hanno deciso di non procedere all'impianto di un sistema di voto
elettronico.
Possiamo quindi star tranquilli e contare su elezioni al sicuro dagli hacker?
Purtroppo, no. All'opera, infatti, ci sono stuoli di ‘hacker social' che miscelano competenze informatiche e sociologiche
per influenzare gli elettori, come si sospetta sia accaduto nelle presidenziali USA del 2016 e durante la campagna per il referendum sulla Brexit. Molti di questi hacker sembrano lavorare nell'azienda russa Sputnik, sono ormai all'opera da anni sul Vecchio Continente
e hanno sviluppato tecniche estremamente sofisticate ed efficaci per indirizzare l'opinione pubblica verso ben determinati
schieramenti politici.
Secondo un articolo apparso su Politico.eu, disegni ben precisi per influenzare l'opinione pubblica tramite l'utilizzo dei social network sono stati riscontrati durante
i dibattiti che riguardavano l'indipendenza catalana, per suscitare in Olanda sentimenti negativi nei confronti dell'Ucraina, per aizzare il fermento dei gilet gialli francesi
e gettare benzina sul fuoco delle vicende italiane riguardanti l'immigrazione clandestina e i flussi migratori.
Secondo un'analisi apparsa in un articolo di El Pais, sui social network del nostro Paese appariva chiaro come nelle argomentazioni portate da chi si diceva a favore di una politica
di accoglienza si trovassero una moltitudine di fonti che spaziavano da Open Immigration a Famiglia Cristiana, passando per The Guardian e VICE. Per quello che riguardava le comunità antimmigrazione, invece, il numero di fonti si riduceva
drasticamente, con Sputnik Italia che figurava al secondo posto tra le fonti più citate e con il 90.4% dei contenuti distribuiti
da Sputnik Italia e Russia Today che circolavano proprio nelle comunità antimmigrazione.
Ma perché la Russia vuole influenzare le elezioni?
Innanzitutto, bisogna mettere in chiaro che il governo russo ha sempre smentito ogni suo coinvolgimento in queste operazioni. Ciononostante, i sospetti che ci sia un piano del Cremlino sono estremamente diffusi in moltissime agenzie di intelligence
e l'obiettivo finale sarebbe quello di sgretolare la cultura di collaborazione e unificazione che stava facendo crescere molto
rapidamente l'area NATO attorno ai confini russi. Ma forse non è tutto lì. Sputnik e Russia Today, infatti, operano praticamente sotto il Sole e il motivo è forse anche da ricercarsi nel fatto che alcune forze politiche sono ben contente di ricevere un aiuto, senza
valutare o volutamente sottovalutando le conseguenze sul medio/lungo periodo.
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