La scena è piuttosto insolita, perché c’è Mark Zuckerberg che intervista Mathias Döpfner. Ovvero il ceo di Facebook che fa domande al ceo di Axel Springer, l’editore tedesco, il più grosso europeo. Sorprende perché Döpfner negli anni si è distinto per le posizioni pressanti nei confronti di Google e Facebook affinché remunerassero gli editori per gli articoli diffusi nelle rispettive piattaforme. Se Mark Zuckerberg ha deciso di pubblicare l’intervista, prima di una serie, sul suo profilo Facebook è proprio per comunicare il cambio di passo: Facebook si sta organizzando per pagare agli editori una licenza per gli articoli al suo interno.
La novità sarebbe inclusa in una nuova sezione, che nel corso dell’intervista Zuckerberg più volte chiama «surface», dedicata a notizie di «alta qualità». La maggior parte degli utenti va su Facebook per connettersi con gli amici, spiega Zuckerberg, «ma il 10,15, forse 20% di persone nella nostra community vuole davvero andare in profondità» sulle news e dunque ci sarebbe l’opportunità di «aumentare drasticamente la distribuzione e, in caso di successo, la monetizzazione a chi partecipa con contenuti di alta qualità».
Si tratterebbe di qualcosa di probabilmente simile a Watch, la nuova funzionalità introdotta da Facebook l’anno scorso, sostanzialmente un canale video, un nuovo feed. Secondo il sito di tecnologia americano Recode, la nuova funzionalità sarebbe gratuita per l’utente e potrebbe arrivare a fine 2019. Döpfner spiega che Axel Springer fa l’84% dei ricavi con il digitale e che il suo obiettivo è trovare una strada sostenibile per l’informazione. Suggerisce a Zuckerberg di dare agli editori accesso diretto ai propri utenti e una giusta spartizione dei ricavi. «Avrebbe molto senso» risponde Zuckerberg.
Il momento in cui avviene questa apertura è quello di un cambio di strategia da parte di Facebook: pochi giorni fa lo stesso fondatore ha pubblicato una lettera sul Washington Post chiedendo ai governi nuove regole contro la diffusione in rete di contenuti dannosi e per la tutela della privacy. Dopo lo scandalo Cambridge-Analytica, l’azienda vuole recuperare credibilità. Non è probabilmente un caso, inoltre, che la notizia arrivi a pochi giorni da lancio di Apple News+ negli Stati Uniti e Canada, un aggregatore su cui lavora una redazione interna per offrire ai lettori i migliori contenuti degli editori partner. A quest’ultimi vanno il 50% dei ricavi, mentre all’utente l’abbonamento costa 9,99 dollari al mese (13 in Canada). Apple News ha raggiunto 200mila abbonati nelle prime 48 ore, anche se il primo mese di prova è gratuito. Alcuni editori hanno aderito, come il Wall Street Journal, altri come il New York Times non vogliono cedere i loro articoli.
Le news diventano un nuovo ambito competitivo tra i big della Silicon Valley: nel lanciare il nuovo prodotto Tim Cook, ceo di Apple, ha detto di voler promuovere un modello antitetico al clickbaiting, senza nominare Facebook anche se il mittente era chiaro. Allo stesso modo Zuckerberg ha detto che non vede «Surface» come un modo per aumentare i ricavi a differenza di altri (ovvero Apple, che mira ad ampliare gli abbonati ai suoi servizi).
Anche Facebook potrebbe assumere un team editoriale dedicato alla selezione delle migliori notizie. Nel 2016 la sezione «trending topics» veniva curata da giornalisti, che però avevano un contratto esterno. Finì male: la selezione fu accusata di essere imparziale, se ne interessò anche il Senato americano. Gli stessi giornalisti avevano detto a Gizmondo che il loro impiego non aveva criteri oggettivi e avevano lamentato pessime condizioni di lavoro. L’esperimento finì. Fino a oggi anche il rapporto con gli editori non è stato facile. Instant articles, che permette di ottimizzare gli articoli per una navigazione più rapida all’interno della app, non ha portato i risultati sperati e i publisher si sono spostati verso Google Amp. Dal 2006, inoltre, Facebook ha coinvolto alcuni editori per ampliare l’offerta video, solo che alla fine i grossi investimenti fatti in strutture ad hoc non sono stati ripagati. Il cambio nella strategia video ha messo in grosse difficoltà alcune testate digitali che avevano investito molto: Mic.com, una startup ambiziosa con lussuosi uffici a Manhattan, ha così licenziato quasi tutto il suo staff. Lo scorso anno, infine, Zuckerberg aveva annunciato un cambio nell’algoritmo che avrebbe svantaggiato le news a favore di interazioni tra utenti, senza mettere troppo di buonumore i publisher. Un anno dopo sembra che molto sia cambiato. Facebook questa volta vuole costruire il nuovo servizio in maniera «più consultiva», ha detto Zuckerberg a Döpfner.
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