Economia

Vera Gheno: «Così sui social tengo a bada troll, disturbatori…

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INTERVISTA

Vera Gheno: «Così sui social tengo a bada troll, disturbatori ed haters»

«Per tanti anni le aziende non si sono poste una vera questione digitale. L’online veniva percepito solo come un nuovo canale. Adesso ci si rende conto che la parte difficile è nelle conversazioni, perché gli utenti parlano tra loro. E la situazione non è più controllabile». Vera Gheno, sociolinguista e traduttrice, docente a contratto all’università di Firenze, fotografa il profilo di chi popola le piattaforme social in questi anni capovolti. D’altronde con il super-utente anche lei si relaziona di continuo: dal 2000 collabora con l’Accademia della Crusca e dal 2012 ne gestisce l’account Twitter. Proprio quel profilo che tre anni fa ha sdoganato il termine petaloso, facendolo diventare virale. E con lei non si può non affrontare l’ultimo flame che ha dominato le interazioni social e che ha coinvolto la pagina “Inps per la famiglia”, con le risposte della social media manager agli utenti interessati al reddito di cittadinanza. L’azienda si è poi scusata, ma al di là del caso specifico il tema resta di attualità. «Il sentimento che ho registrato è quello tipico delle situazioni in cui si fa blasting: quando si blasta, ovvero si trolla, si crea polarizzazione» precisa Gheno, co-autrice con Bruno Mastroianni di “Tienilo acceso”, edito da Longanesi.

Gheno, una sintesi secca sulla vicenda Inps.
La social media manager ha ceduto alla tentazione di blastare. Col suo esporre al pubblico ludibrio la stupidità dell’altro, il blaster diventa l’eroe del branco, il capo-tribù.

E la lezione?
Dimostra come ancora oggi si sottovaluti la preparazione specifica per chi fa social media management. Si dà attenzione massima alla parte tecnica, ma si ragiona poco sulla relazione umana. Alla fine il social media manager è colui che sta a contatto con le persone. E le persone non sono sempre le migliori. Ecco perché abbiamo bisogno di competenze relazionali, oltre che tecniche. Perché l’online è questione di relazioni.

Dalle risposte si è generata una crisi comunicativa. Che impatto ha avuto?

Normalmente la crisi non aspetta mai l’orario di apertura dell’ufficio: l’esperienza insegna che la comunicazione di crisi registra un picco durante il quale bisogna prendere contromisure immediate. Mentre spesso il social media manager viene lasciato solo nella gestione.

Come si affrontano gli hater e i disturbatori che si annidano sui social?
Ho imparato molto dalla gestione della disputa felice, così definita da Bruno Mastroianni. In realtà nel messaggio scomposto dell’insulto quasi sempre è nascosta una richiesta di ascolto, la necessità di un’argomentazione reale. Tolto l’insulto occorre concentrarsi sul tema. L’importante è non perdere la calma, cosi da far inciampare l’hater su se stesso. È la tecnica dell’antica arte marziale dell’aikidō: lascia che l’altro inciampi nella veemenza delle proprie parole, non entrare nel gioco del dissing, ovvero di chi non rispetta. Occorre invece rispondere con link e argomentazioni. Non bisogna dimenticarsi che queste interazioni avvengono in pubblico: anche se l’interlocutore non ha cambiato idea, con ciò che scrivi condizioni un’intera comunità.

C’è anche chi sceglie una linea più dura: bannare, bloccare, espellere.

«Bannare l’urlatore non risolve. Occorre solo quando si registra qualcosa di illegale. Per il resto bisogna recuperare il valore dell’ignorare. Il troll va ignorato. Ma attenzione: in nessun caso va esposto al pubblico ludibrio. Quindi un brand non dovrebbero soddisfare l’istinto primordiale di lapidare l’incapace comunicativo.

E allora come si affronta questa nuova era conversazionale?
Il modo virtuoso è partecipare alle conversazioni legate ai mercati con la massima sincerità. Penso alle massime del filosofo inglese Herbert Paul Grice, definite negli anni Settanta e ancora oggi capisaldi della comunicazione: massima della quantità, ovvero dire il giusto. Massima della relazione, ovvero intervenire con cose pertinenti. E ancora massima del modo, ovvero comunicare chiaramente, attingendo alle proprie competenze. E infine massima della qualità, cioè puntare sulla sincerità.

Qual è il ruolo dei brand nei confronti degli utenti? Leader, guida, compagno di viaggio o altro?
La risposta non può essere univoca. Ogni brand ha una relazione legata alla specifica identità e al registro linguistico adottato. Certamente occorre uscire dalla dittatura dell’instant marketing, che è diventata fastidiosa. C’è un’ossessione di catturare il presente cercando di intercettare tendenze, ma queste scelte non possono diventare il registro di tutti.

Come si migliora questa “relazione complicata”?
Imparando dalle giovani generazioni. La conoscenza dei meccanismi con cui si crea o si distrugge il linguaggio giovanile aiuta a comprendere le dinamiche migliori di relazione, oggi necessariamente veloci, autentiche, leggere e al tempo stesso impegnate. Questo è il momento in cui è necessario avere strategie di lungo corso, una visione di insieme, oltre la contingenza. Viviamo un periodo stimolante, con vantaggi impensabili rispetto al passato. Ma occorre affrontarlo con lucidità.

LE PAGELLE DI VERA GHENO.

Promossi:

1. Le scuse immediate di H&M. H&M qualche mese fa ha postato la foto di un giovane modello di colore. Indossa una felpa con una scritta che tradotta recita: “la scimmia più cool della giungla”. Accanto un altro ragazzo, stavolta bianco, con felpa e scritta: “esperto di sopravvivenza nella giungla”. L'immagine è stata immediatamente rimossa e l'azienda si è prontamente scusata.

2. Good Company e l’anoressia. L'azienda di abbigliamento malesiana con un forte seguito tra i giovani asiatici, nel 2018 ha postato sul profilo Instagram la foto di una modella che sembrava anoressica. Davanti allo sconcerto degli utenti, il brand si è subito scusato. Ma ha poi deciso di lasciare l’immagine per favorire il confronto. Esprimendo autenticità e contemporaneità.

3. Il real time di Ceres. Il real time marketing non è da tutti, anche se tanti spesso erroneamente provano a sperimentarlo. La marca di birra danese da sempre intercetta l’attualità, riprendendo temi di politica, costume, società. Con un elemento che la rende ancora più virtuosa: le costanti risposte ai commenti degli utenti su Facebook

Bocciati:

1. Le scuse tardive di Wycon. L’azienda di cosmetica qualche mese fa ha lanciato una linea di smalti con nomi ispirati a canzoni hip hop. Il colore nero è stato chiamato “thick as a nigger”, con un riferimento giudicato razzista. La comunità afroamericana ha protestato e il brand ha provato a difendersi. Solo dopo molto tempo ha pubblicato su Instagram un messaggio di scuse.

2. L’Inps e le risposte scomposte. È il flame più recente scoppiato la scorsa settimana. Ha coinvolto l’Inps, con le risposte stizzite della social media manager su Facebook. L’azienda si è scusata, ma intanto quelle interazioni hanno fatto il giro della rete. Perché quando si risponde ad un utente, in fondo ci si rivolge all’intera comunità online.

3. I «ragazzi» di Italo. Mantenere la calma, sempre. È il lavoro del social media manager. Una calma che si palesa nelle risposte, nelle parole, nel tono di voce. Qualche mese fa lo scivolone è toccato a Italo per la scontistica in occasione del Family day. Subissato dalle critiche il social media manager è sbottato, arrivando a definire gli utenti “ragazzi”.

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