Al sole o all'ombra, le pareti e le finestre di un edificio potrebbero generare tutta l'elettricità che consuma: sembra un sogno ecologista, ma non lo è. Questa prospettiva si sta concretizzando in una serie di progetti industriali che potrebbero rivoluzionare il futuro del solare e della produzione elettrica globale. Tutti i progetti in corso, di cui due molto avanzati, girano attorno alla perovskite, un minerale low-cost con una struttura cristallina particolare e proprietà conduttive analoghe a quelle del silicio, ma più facile da trasformare, capace di reggere meglio l'usura del tempo e di depositarsi su qualsiasi supporto, anche flessibile, spalmato come un inchiostro dallo spessore sottilissimo di 1 micron, con cui si riesce a catturare la stessa quantità di energia intercettata da uno strato di 180 micron di silicio.
In prima posizione nella corsa all'industrializzazione della perovskite c'è Oxford Pv, uno spinoff dell'università di Oxford fondato dal fisico Henry Snaith, che ha stabilito il record mondiale del 28% di efficienza con la sua cella solare di perovskite e silicio. Fondata nel 2010, Oxford Pv ha raccolto finora quasi 100 milioni di euro di finanziamenti, incluso il generoso contributo di Goldwind, un produttore cinese di turbine eoliche. Ma la svolta decisiva è arrivata dall'ingresso nel capitale della società solare svizzera Meyer Burger, che ha appena acquisito una quota di controllo del 18,8%. Grazie al nuovo socio, Oxford Pv potrà usufruire di una linea di produzione da 200 megawatt nello stabilimento di Meyer Burger vicino a Berlino.
Sul mercato c'è molta aspettativa per l'industrializzazione della tecnologia di Oxford Pv, che prevede il rivestimento di una tradizionale cella di silicio con uno strato sottile di perovskite trasparente, per catturare una fascia più ampia dello spettro solare. Come ricorda una nota di Meyer Burger che illustra i dettagli del nuovo progetto, la soluzione in tandem silicio-perovskite sposta molto in avanti il limite massimo teorico di efficienza: intorno al 43-44% contro il 29% per le celle di silicio a singola giunzione. Il limite massimo teorico non si raggiunge mai nell'utilizzo pratico delle celle, ma la previsione è che i pannelli di Oxford Pv possano riuscire a superare il tetto dell'efficienza del 30%, finora mai varcato, rivoluzionando il mercato del fotovoltaico.
I fisici inglesi sembrano ben piazzati per varcare per primi il traguardo della commercializzazione, ma Oxford Pv non è l'unica startup che cerca di arrivare sul mercato con una cella alla perovskite. Saule Technologies è una startup polacca fondata da Olga Malinkiewicz, che durante il suo dottorato all'Istituto di scienze molecolari dell'Università di Valencia, ha creato una cella fotovoltaica leggerissima, prima spalmando uno strato di perovskite su un supporto flessibile per evaporazione e infine con una semplice stampante a getto d'inchiostro. La sua scoperta le è valsa un articolo sulla rivista Nature, ma anche il prestigioso premio del concorso Photonics 2, organizzato dalla Commissione Europea.
Incoraggiata da due uomini d'affari, Malinkiewicz ha fondato con loro a Breslavia Saule Technologies, dal nome di una dea pagana baltica che regnava sul sole, e oggi è pronta a sfornare nel 2020 ben 40mila metri quadri di pannelli flessibili, ma meno efficienti di quelli ideati da Oxford Pv, che potranno diventare 180mila nel 2021, grazie a una linea di produzione compatta che può essere installata ovunque, in base alla domanda, per produrre pannelli “su misura”.
Il colosso svedese delle costruzioni Skanska, che sta già conducendo un test su un suo edificio a Varsavia, ha firmato un contratto con Saule per sfruttare questa tecnologia in tutti i suoi mercati in Europa, Stati Uniti e Canada. «Il primo impianto di produzione pilota dovrebbe essere lanciato alla fine del 2019, il che permetterebbe la fabbricazione di grandi moduli fotovoltaici di perovskite su scala industriale», annuncia Skanska. E aggiunge: «La tecnologia delle celle alla perovskite ci avvicina all'obiettivo degli edifici autosufficienti dal punto di vista energetico».
Le celle polacche funzionano anche su superfici con poca esposizione al sole, possono essere applicate quasi dovunque, sono flessibili e quasi trasparenti, per cui adatti anche ai rivestimenti di vetro. Un pannello standard di circa 1,3 metri quadri, con un costo previsto di 50 euro, è sufficiente per fornire energia a una postazione di lavoro per tutto il giorno, secondo le stime attuali. Un altro test a grandezza naturale è stato lanciato in un albergo in Giappone, vicino a Nagasaki.
Un terzo concorrente è Swift Solar di Golden, in Colorado, il cui fondatore Sam Stranks delle celle solari alla perovskite così leggere che possono essere spalmate su una bolla di sapone. Sperando che la bolla non esploda, com'è successo per un'azienda australiana chiamata Greatcell Solar, che aveva tentato di commercializzare una cella solare alla perovskite prima di finire in amministrazione controllata.
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