Che la capitale turca potesse diventare il luogo ideale per scoprire nuove tendenze di moda e arte contemporanea mi era venuto in mente davanti alla videoinstallazione del regista-designer Hussein Chalayan alla Biennale di Venezia del 2005: ne era protagonista una delle sue muse, l'attrice Tilda Swinton, che interpretava la muta realtà del lavoro femminile dentro e fuori le mura di casa. Sebbene Chalayan sia turco-cipriota e viva a Londra, il fatto che fosse stato scelto per rappresentare la Turchia, esprimendola poi attraverso un tema così complesso, mi sembrò un segno dell'evoluzione socio-culturale a cui stava mirando il Paese. L'impressione mi è stata confermata qualche mese fa, leggendo "Il museo dell'innocenza" di Orhan Pamuk (Einaudi), e da una breve visita di lavoro nella capitale turca. Nonostante alcuni recenti fatti di cronaca e politica (la cooperazione economica della Turchia con la Russia, l'accordo con Lula e Ahmadinejad per il nucleare civile), la Turchia è un Paese dove si respirano segnali di novità, soprattutto in campo creativo, dall'emergere di giovani stilisti alla prima moschea progettata da una donna.
Ed è per questo motivo che, prima di scrivere, non ho sentito le amiche locali per verificare di non essere magari rimasta indietro con nomi e indirizzi, ma mi sono confrontata con un'ex compagna di college di mia figlia, Dicle Cemiloğlu, brillantissima ventenne di vecchia famiglia stambuliota. Volevo evitare l'effetto polveroso e stantio che si prova dormendo al pur rinnovato Pera Palace. L'epoca di questo storico hotel è finita da sessant'anni almeno; è certo un peccato non averla vissuta, ma ora si devono provare le camere del Bentley Hotel, del Misafir Suites o del Four Seasons se si ha il budget adatto e non ci si sente a disagio all'idea di dormire in un'antica prigione.
Va bene fare i turisti al Grand Bazar, dove in effetti c'è un bravo mercante di tappeti, Şişko Osman, e dove si possono acquistare le bellissime stoffe dipinte della boutique Sivasli Yazmaci, sulla Yağlıkçılar Caddesi. Ma per comprare qualcosa di cui le stambuliote chic (ma anche le inglesi e le francesi, direttore di Vogue Francia, Carine Roitfeld, in testa) parlano fra di loro bisogna andare altrove, e precisamente da Hakan, nome di battesimo Hakan Yıldırım, nel quartiere di Nişantaşi: certo, lo si trova anche a Londra, dove ha sfilato lo scorso febbraio, ma a Nişantaşi ha showroom e outlet. Un omaggio alla nouvelle vague modaiola turca, che si estende a Vienna, con Atil Kutoglu, che ha persino un addentellato nel quartiere milanese di Brera (Umit Benan, barbutissimo e bravissimo, presentato a Pitti lo scorso gennaio) e che prevede anche una visita dalla bella Arzu Kaprol (Abdi Ipekçi Caddesi 53/2). E poi ci sono i jeans: la Turchia è il più importante produttore europeo di denim di qualità, accanto all'Italia, ma con volumi ben diversi, ovvero sei-sette volte superiori. Il brand locale più famoso, Mavi Jeans, che vende uno streetwear completo ma ha debuttato col denim (si trova al 43 di Eski Büyükdere Caddesi, Sanayi), e offre un'infinità di modelli a prezzi molto interessanti.
Davvero splendidi, per un piccolo investimento, sono gli anelli scolpiti e fusi con i volti degli imperatori ottomani di Sevan Bıçakçı, "the lord of the rings" come è non a caso ribattezzato, che ha boutique anche nella hall dell'Hotel W. Con un budget più contenuto si possono invece acquistare i monili sempre in tiratura limitata ma in ottone e pietre semipreziose di Betina: giovanissima, a sua volte uscita da un college inglese, come quasi tutti i designer di nuova generazione, ha boutique nel quartiere di Nişantaşi (Mon Reve Bijoux, Akayik Sokak Lale Apartmani 53). Belle le collane in resina o pasta di vetro.
A proposito di vetri, da evitare assolutamente sono i soliti servizi di bicchierini da tè, più o meno preziosi, a meno che non siano così orrendamente kitsch da trasformarsi in veri pezzi di arredo. Ma occorre possedere uno stile sufficientemente sicuro ed eccentrico per non correre il rischio di portare a casa oggetti inservibili e di cui ci si vergognerà tutta la vita. Gli stambulioti facoltosi comprano i loro servizi (vasellame, argenti, rame) da Hiref, ma sarebbe una pessima idea seguirne l'esempio: la produzione è una summa di cattivo gusto di ispirazione ottomana in salsa design.
In caso si volessero ceramiche, sia antiche sia moderne, si può dare un'occhiata da Atrium (Tünel Geçýdý 7, Beyoğlu), vicino al capolinea del Tünel, il tram che percorre una delle vie dello shopping, Istiklâl Caddesi: l'indirizzo è un po' antiquario, parecchio rigattiere, ed espone, o meglio nasconde in un disordine incredibile, antiche mappe e locandine di cinema (strepitose), acquerelli e pugnali, insegne e ceramiche di Iznik, sia autentiche sia in riproduzione. Per i souvenir vecchiotti, si dovrebbe fare un giro al mercato delle pulci di Ortaköy, la domenica. Un'ultima avvertenza, invece, per chi si avventura nel mercato egiziano: occhio alle spezie a bassissimo prezzo. La vaniglia di buona qualità è cara ovunque.
Atelier Istanbul, le nuove boutique che fanno tendenza
Istanbul, segnali di nuovo: una moschea al femminile
Özpetek: «I segreti della mia Istanbul»
© Riproduzione riservata