La Parigi gastronomica è ai loro piedi: sono i bistronomi, i nuovi re (e regine) della bonne bouffe, come i francesi chiamano familiarmente il cibo che entusiasma il palato. Creativa, coraggiosa, ambiziosa, la giovane generazione di grandi chef della capitale, tutti tra i 30 e i 45 anni, ha sdrammatizzato il concetto di ristorante di lusso e sviluppato un nuovo genere: il neo-bistrot. L'idea è semplice: locali piccoli, cornice sobria, cucina aperta sulla sala, solo prodotti di stagione lavorati con fantasia e rispetto, due o tre piatti, che si rinnovano in continuazione, e menu tra 35 e 50 euro (ma ce ne sono anche di più cari). Risultato: un successo immenso, fino a due mesi d'attesa per ottenere un tavolo.
Tutto è cominciato con Yves Camdeborde. Dopo essersi fatto le ossa in ristoranti rinomati, come Les Ambassadeurs dell'Hôtel de Crillon, lo chef originario del Sudovest si è chiesto perché a Parigi non esistesse una via di mezzo tra il locale a tre stelle, tradizionalmente carissimo, e la banale brasserie. Il frutto della riflessione è stata l'apertura della Régalade, prima incarnazione della bistronomie, ossia la cucina di bistrot di qualità, poi chiuso per aprire Le Comptoir du Relais, oggi uno dei ristoranti più quotati della capitale. In una sala senza orpelli, dove a pranzo viene offerta una (super) cucina da brasserie e la sera un menu degustazione, Camdeborde solletica l'appetito con le sue magnifiche cochonailles basche (salumi) e un burro alle alghe bio, fabbricato all'antica, che accompagna le sardine della miglior pescheria di Parigi.
L'esaltazione di alimenti un tempo considerati poveri è una costante della filosofia dei nuovi bistronomi. Uno dei primi allievi di Camdeborde, Stéphane Jégo, chef di Chez l'Ami Jean, conferisce una dignità regale persino a rape e carote, cucinandole con un'orata o un mignon de porc in un tripudio di odori che creano una sinfonia, senza spegnere le note di ogni singolo prodotto. Nel suo locale dall'arredo rustico è più facile trovare un tavolo a pranzo che a cena.
Prenotare è una missione ancor più ardua a Le Chateaubriand, neo-bistrot all'undicesimo posto nella classifica dei migliori ristoranti del mondo. In tarda serata, star del giornalismo e della cultura infilano la testa qui, cercando con gli occhi il bell'Iñaki Aizpitarte, per supplicarlo di accoglierli nel suo ricercatissimo locale. Lui, il giovane chef d'origini basche, autodidatta e istintivo (tanto da cambiare la carta tutte le sere, o quasi), deve spesso allargare le braccia e scuotere la testa. Le sue invenzioni gastronomiche, che sconvolgono i sapori codificati, associando tonno e lamponi, caprifoglio e gelato al latte di pecora, sono squisite. Con lo stesso spirito, lo chef ha da poco inaugurato un secondo locale, proprio di fianco al primo, Le Dauphin. Qui, tra mura rivestite di marmo bianco, si consumano tapas originali e gustosi piatti da neo-bistrot, accompagnati da vini naturali, come i Puzelat o i bianchi alsaziani Binner.
Avere una cantina d'alto livello, che predilige prodotti enologici naturali (senza additivi chimici e con il minor numero possibile di manipolazioni), è un'altra prerogativa dei locali dei bistronomi. Famosa è, a questo proposito, la cantina Le Baratin, il ristorante dove Iñaki va a mangiare un boccone quando non cucina nel suo. In un quartiere molto popolare, non è certo la sala, piuttosto caotica, ad attirare intellettuali e BoBo (bourgeois-bohémiens), ma la cucina virtuosa di Raquel Carena, che reinventa piatti tradizionali, come il ris de veau (animelle di vitello) o la quaglia in salmì, esaltati da vini di qualità, come quelli di Eric Pfifferling, che produce, tra l'altro, uno dei migliori rosé del mondo.
Naturali anche i Péron, Overnoy, Domaine des Griottes di uno dei neo-bistrot più recenti, e più incensati, inaugurato l'autunno scorso: il Saturne. La sala, illuminata da una vetrata, presenta una decorazione minimalista che evoca le atmosfere nordiche, come il nome dello chef, Sven Chartier, tanto giovane quanto geniale. Famosa la sua tartare di vitello di latte, ricoperta di rape crude finemente sminuzzate.
Più intimo e raccolto l'ambiente del ristorante che la chef Adeline Grattard ha aperto con il marito Chiwah, incontrato a Hong Kong. Lo Yam'Tcha ha evidenti influenze asiatiche, assorbite e rielaborate da Adeline durante i suoi numerosi viaggi in Cina. Nel suo minuscolo locale, piatti a base di prodotti francesi insaporiti con spezie orientali (come la sella d'agnello e melanzane alla sichuanese e i fichi con lamponi al sorbetto di zenzero) sono accompagnati da tè preziosi o da un bicchiere di vino (naturale). Effervescente anche la cucina di uno dei neo-bistrot più alla moda, lo Spring di Daniel Rose. Ha una grande cucina open, arredi di design tra mura del XVIII secolo ed è su tre livelli: il ristorante con un menu unico, un bar à vin dove bere un bicchiere e fare uno spuntino senza prenotazione e una cantina davvero eccezionale, dove è possibile degustare i grandi cru del locale.
Crema di limone che nasconde un cuore di cavolfiore croccante, gelato di barbabietola e caramello, salsa di clorofilla e altre invenzioni per papille in cerca di emozioni sono, invece, gli indizi che portano alla Bigarrade. Il locale di Christophe Pelé, ex chef del Royal Monceau, accoglie, a pranzo e a cena, una ventina di fortunati iniziati per un menu unico, ogni giorno diverso. Sulla sala, molto sobria, si affaccia una cucina operosa che aspira alla perfezione. Il risultato sono lunghi tempi d'attesa: tra l'antipasto e il dolce possono passare anche tre ore.
I più giovani, però, preferiranno l'atmosfera e i ritmi del Jeu de Quilles. Anche qui una sala lillipuziana, dove tutto è davvero buono, dalla tartina catalana al pollo alla basca, passando per il riso al latte speziato. Durante la giornata, si gustano formaggi e salumi accompagnati da un bicchiere di vino. Più internazionale lo straordinario bouquet di fragranze e sapori di Ze Kitchen Galerie, tempio della gastronomia fusion, secondo le regole imprevedibili di William Ledeuil, innamorato del Sudest asiatico. Per lo chef francese, «la cucina è un gioco»: logico, allora, divertirsi a mescolare erbe thailandesi, vietnamite, giapponesi, agrumi e pomodori canditi, con cui Ledeuil ridefinisce piatti tradizionali. L'effetto è sorprendente, come il locale, dove il ristorante convive con una galleria d'arte, che propone fino a cinque mostre all'anno. Anche se lo spettacolo più emozionante resta quello dei cuochi al lavoro nella cucina open.
Più tradizionale, soprattutto per la decorazione, L'Écailler du Bistrot, uno dei migliori ristoranti di pesce. Ostriche, coquilles Saint-Jacques, polpa di granchio, branzino e, con un po' di fortuna, un piatto da fast food di lusso: aragosta e patatine fritte, connubio meraviglioso. Tutto è fresco, preparato con fantasia, accompagnato da vini sensazionali e servito in una serie di sale impreziosite da boiserie d'epoca. E, dopo le specialità di mare, vale la pena assaggiare un dolce: la delusione è rara.
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