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Zanzibar, tra le palme dei sultani

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Zanzibar, tra le palme dei sultani

L'acqua cristallina di Zanzibar (foto Alamy)
L'acqua cristallina di Zanzibar (foto Alamy)

Una entità radicata nella geografia dell'immaginario prima ancora che sul mappamondo o nelle pieghe della storia. Come Timbuctu o Samarcanda, Zanzibar è un universo meticcio, incrocio tra neri, arabi e indiani. Con un passato coloniale, rimasto nelle sue architetture e nelle sue atmosfere. Anche la sua fauna è intrigante. Kizimkazi ospita la baia dei delfini. E nella Jozani Natural Forest, una bellissima foresta tropicale di 2495 ettari, vive il colobo rosso, una scimmia dalla pelliccia rossastra che si trova solo qui.
Non esiste invece una significativa fauna volatile. E questo a causa della tratta degli schiavi, che qui ebbe una delle sue storiche, e tristemente celebri, capitali: un mercato che si protrasse ben oltre la formale abolizione promulgata dagli inglesi. Nei suoi anni d'oro vennero importati sull'isola centinaia di grossi corvi neri che avevano il compito di ripulire il terreno dai cadaveri degli schiavi. Si moltiplicarono così a dismisura, uccidendo anche molte specie di uccelli indigeni, che andarono incontro all'estinzione.

STONE TOWN, L'ANTICA CAPITALE DEI SULTANI
Stone Town è la città principale dell'isola (territorio tanzaniano), una vera trappola del tempo, un mondo fatto di pietra, protetto da fortezze costruite dai sultani omaniti nei loro 130 anni di dominio. Oggi ci si arriva facilmente, grazie a uno stradone largo e senza buche costruito durante la guerra fredda, quando la Tanzania intratteneva solide relazioni con i paesi del blocco orientale.
Di quegli anni resta un quartiere che, con azzeccata ironia, oggi è conosciuto come Zanzigrad: ampie schiere di casermoni di cemento in stile razionalista berlinese, anneriti dagli anni, rallegrati dalla colorata arte d'arrangiarsi degli africani e circondati da una vegetazione tracimante e inarrestabile.

Ma il cuore della città è altrove: sta in quel segmento urbano la cui pianta è un reticolo impazzito tracciato da secoli di architetture senza regole. Un labirinto di vicoli che dietro alle porte socchiuse nasconde cyber-café, negozi di abbigliamento, bar e ristoranti.

Ma a Stone Town le ombre del passato sono sempre incombenti. Basta camminare dalle parti della Beit el-Ajaib, la Casa delle Meraviglie, l'ex dimora dei sultani, e dell'Old Dispensary, il vecchio dispensario e ospedale per i poveri. O cercare ombra sotto la facciata irregolare, color ocra, del vecchio forte. Qui, in un reticolo di venature interrotte, è disegnata la storia dell'isola: colonialismo portoghese, imperialismo inglese, francese e americano, schiavitù araba, rivoluzione, politica della guerra fredda e adesso il turismo.

NUOTARE CON I DELFINI
Sin dall'arrivo in aereo l'isola appare come un'immensa spiaggia immersa nello smeraldo, con palme e paesaggi da cartolina. La costa orientale dell'isola è l'archetipo di tutte le coste tropicali con palmizi, sabbia bianca e laguna corallina.
Per un bagno a cinque stelle è opportuno spingersi sulla punta settentrionale dell'isola, nei pressi del villaggio di Nungwi o all'estremità meridionale dove, con un po' di fortuna, si riesce a nuotare in compagnia dei delfini che pattugliano la zona. Qui si può soggiornare proprio sulla spiaggia al Ras Nungwi Beach Hotel (con House of Wonders, tel. 0033.442946598, in doppia da 150 euro a testa). La vicinanza e la particolarità della barriera corallina la rendono una destinazione perfetta per gli amanti degli sport acquatici.

SHOPPING CON TINGATINGA
Impensabile l'ipotesi di sottrarsi al rito degli acquisti tra i negozi e le bancarelle del centro di Stone Town. È un viaggio tra le cento anime che abitano l'isola.
E non si può che iniziare dai quadri naïf tanzaniani dai colori intensi e dalle fantasie naturalistiche. Sono i Tingatinga, un nick name mutuato da Edward Said Tingatinga, pittore originario di un piccolo villaggio di pescatori nei pressi di Dar es Salaam. Morì nel 1972, a soli 40 anni, povero e inconsapevole di aver creato un genere pittorico che oggi espone nelle gallerie d'arte americane e giapponesi. Le opere dei suoi emuli sono facilmente reperibili sulle bancarelle della veranda del Palazzo delle Meraviglie.

Qui si trova di tutto: dai parei di cotone stampati con proverbi swahili alle stuoie di paglia multicolori, dagli orologi a pendolo di tardo ottocento ai tradizionali bauli locali. E poi ancora confezioni di gelatina aromatizzata al cardamomo, la polvere di sandalo per la pulizia del viso, sacchettini di Udi, una mistura di aromi consigliata per profumare gli armadi. Attenzione, però, alle statuette d'ebano: spesso sono fatte di sicomoro tinto con lucido da scarpe. Infine, per i golosi: assaggiate il miele di Pemba, l'altra grande isola dell'arcipelago zanzibarino. È eccezionale e si dice lenisca le ferite dell'anima…

Per saperne di più e per organizzare il vostro viaggio consultate la pagina degli indirizzi

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