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Palermo barocca, invito a palazzo

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Palermo barocca, invito a palazzo

Palermo, la Cattedrale (foto Peter Forsberg / Alamy)
Palermo, la Cattedrale (foto Peter Forsberg / Alamy)

Quattro stagioni, quattro viceré e persino quattro sante patrone della città. Ecco perché chi volesse sapere qual è la temperatura di Palermo, ancora oggi, deve venire qui: ai Quattro Canti, un tempo chiamati anche Teatro o Ottagono del Sole. Cuore pulsante della città, incrocio perfetto tra corso Vittorio o Cassaro, la storica via commerciale che porta da monte a mare, e via Maqueda, infine centro strategico di quella grande scacchiera voluta dal viceré spagnolo De Cardines, duca di Maqueda.

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I Quattro Canti sono il segno tangibile dell'opulenza spagnola, un inno al Barocco, tanto che sempre da qui, il 14 luglio prima della mezzanotte, passa e sosta per essere ammirato il carro di Santa Rosalia, la macchina barocca per eccellenza. Perché barocca, e non solo nell'architettura, è l'anima di Palermo. Sempre in bilico tra fasto e decadenza, tra glorie e affanni. Palermo può allora essere considerata la capitale del Mediterraneo? Così è, se vi appare. Sempre a rincorrersi, nel bene e nel male, con l'altra capitale del Regno delle due Sicilie, Napoli, con cui condivide molte somiglianze: traffico, rifiuti, ambulanti, lavavetri e perfino qualche clochard, che il francescano Biagio Conte ancora non è riuscito ad attirare nella sua missione Speranza e Carità, alle spalle della Stazione Centrale.

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FALSO MOVIMENTO
Eppure, Palermo si muove. Vive e festeggia realizzando, a fasi alterne, un complesso restyling dei suoi beni architettonici ed artistici. Che sono troppi, se si guarda alle dominazioni di questo grande porto di mare, la Panormus ("tutto porto"), che accolse dai Fenici agli Arabi e agli Spagnoli, fino all'ultima ribalta europea dell'epoca liberty, con i salotti di Donna Franca Florio. Che non a caso, un musical prodotto dal Teatro Massimo ha celebrato come fosse una regina. Per un assaggio in questo trionfo palermitano si può partire da Porta Felice, con l'Antica Gelateria Ilardo, tavoli e sedie senza pretese sotto il verde di gigantesche casuarine dalle fioriture tropicali rosso arancio, e dove la sera arriva forte l'odore di stigghiole e pesce arrosto delle trattorie all'aperto di piazza Kalsa, una nuova casbah.

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Via Alloro è il cuore della città-salotto. Da queste parti si passa di solito per visitare uno dei più importanti musei della Sicilia, la galleria di Palazzo Abatellis. Ma altri edifici meritano una sosta. Da Palazzo Torremuzza, sede di una collezione d'arte contemporanea privata, a Palazzo Butera, in cui gli eredi dello scrittore Giuseppe Tomasi, autore del Gattopardo, hanno ricavato anche qualche piccolo appartamento in affitto, e a Palazzo Sambuca, riuscito esempio di investimento tra pubblico e privati che ospita una fondazione culturale, una galleria d'arte nel cortile e uno spazio museale, La Cavallerizza. Due passi ancora e si giunge in piazza Marina, sovrastata dal gigantesco e malandato Ficus magnolioides e dalle bifore di Palazzo Steri, sede del Rettorato palermitano e, nel Settecento, del Tribunale della Santa Inquisizione.

Palazzo Mirto, museo regionale con ingresso nella piccola, adiacente via Merlo, consente un viaggio nel tempo e nella vita della nobiltà palermitana, grazie ai suoi arredi e suppellettili rimasti intatti, dalle stalle alla cappella privata, dalla sala da tè in stile cinese al teatrino. Molto bella, prima di lasciare il quartiere della Kalsa, la facciata affrescata e inghirlandata di Palazzo Lungarini, ristrutturato con appartamenti. Ma non si contano i palazzi nobiliari privati nell'asse tra via Vittorio Emanuele e piazza Bologni, più o meno ben tenuti, con arredi d'epoca di grande pregio, e che aprono i battenti solo per feste e matrimoni della buona società. Sono Palazzo Valguarnera Ganci, con il famoso salone degli specchi tutto stucchi e oro (quello del ballo di Angelica e Tancredi, alias Claudia Cardinale e Alain Delon nel Gattopardo di Visconti, per intenderci), Palazzo Ugo delle Favare, Palazzo Alliata di Pietratagliata in via Bandiera, Palazzo Ajutamicristo accanto alla piazzetta del Genio o piazza Rivoluzione, dove si può anche fermarsi a dormire. E salendo verso la Cattedrale e il Palazzo dei Normanni, sede del primo parlamento siciliano, ancora palazzi e cortili: Palazzo Asmundo ha le più belle terrazze con vista sulla facciata e sulla torre normanna della Cattedrale e sul Palazzo dell'Arcivescovado, con tanto di Museo Diocesano appena riaperto, per toccare con mano l'indissolubile intreccio palermitano tra sacro e profano.

LA CITTÀ DELLE TRECENTO CHIESE
Certo, ci sono il pesante decoro delle facciate dei palazzi di corso Vittorio, i marmi policromi degli altari delle chiese del Cassaro, ma forse la più interessante caccia al tesoro nelle pieghe del centro storico è quella tra i tesori nascosti negli oratori e che stanno tornando a nuova luce: sono gli stucchi serpottiani. L'itinerario dei Tesori della Loggia, alle spalle del complesso di San Domenico, è una vera celebrazione dell'opera di Giacomo Serpotta e della sua famiglia di scultori, che nel Settecento diedero al gesso e alla pietra la grazia e il movimento delle cose vive. Ma l'edificio conserva anche splendide tele ben restaurate di Antoon Van Dyck, Pietro Novelli e altri artisti di fine Seicento. Una delle epoche d'oro della città, con un grande fervore artistico promosso dalle tante commesse ecclesiastiche che venivano da una città considerata ai tempi tra i più grandi centri storici d'Europa, con trecento chiese e nove teatri. E basta passeggiare sino a tardi per i vicoli attorno al quartiere della Loggia, laddove a metà Seicento si erano insediati i potenti commercianti genovesi, vicino alla Chiesa di San Giorgio, per respirare ancora un'aria barocca, senza per questo perdere voci, odori e colori della più antica città araba, multietnica e mediterranea. C'è infatti un Giacomo Serpotta già noto, quello dell'Oratorio di Santa Cita dove si va in pellegrinaggio per ammirare in tutta la sua perizia l'arte dello stucco e dell'intaglio, o dell'Oratorio di San Lorenzo, di recente riaperto al pubblico. E un Serpotta meno frequentato, poiché molti altri furono i suoi interventi nelle chiese cittadine attorno ai Quattro Canti. Qui il Barocco dei marmi e delle edicole prospettiche con i meravigliosi marmi policromi, i cosiddetti "marmi mischi", e le allegorie della vita dei Santi, trova la sua massima espressione nelle chiese di Casa Professa e di San Giuseppe dei Teatini. Colui che nacque da una umile famiglia di intagliatori nel quartiere della Kalsa e diventò, sotto lo sguardo del padre Gaspare, un maestro in questo composto di polvere di marmo e calce, cui l'artista aggiunse gesso in proporzioni che nessuno riuscì mai a eguagliare, inaugurò infatti una vera e propria scuola. Una bottega in cui lavorarono il fratello, il figlio e il nipote: tutti a cercare di eguagliare quei putti la cui gioia ed eleganza è stata definita dai critici poesia viva. Un inno alla vita, e alla grandezza dell'arte, da scoprire oltre muri e cortili che raccontano l'opulenza del Settecento palermitano, quando la nobiltà si crogiolava tra un ballo a palazzo e la villeggiatura nelle ville della Piana dei Colli.

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Si possono scegliere quattro distinte fughe nel Barocco serpottiano. La prima parte da piazza Kalsa con l'Oratorio dei Bianchi, di fronte alla Chiesa dello Spasimo a pochi passi da piazza Magione. Monumentale sede dei Gesuiti, quasi una dimora nobiliare, vi si trovano le statue settecentesche rinvenute nei magazzini dei musei di città. Poi si prosegue verso la Chiesa dell'Immacolatella, nell'omonima via, la Chiesa della Gancia in via Alloro, la chiesa dell'Assunta su via Maqueda e, ancora nei pressi, l'Oratorio di San Lorenzo.
La seconda fuga prevede un itinerario che porta dall'Oratorio del SS Rosario in San Domenico, con ingresso proprio dietro la piazza che porta il nome della seconda chiesa di Palermo dopo la Cattedrale, all'Oratorio del Rosario in Santa Cita, nella stretta via Valverde. Una sosta, e poi la terza parte, che comprende la Chiesa di Santa Rita, l'Oratorio di Santo Stefano Protomartire e la Chiesa di Santa Ninfa, forse la meno nota. Infine, la quarta e ultima fuga, con la grandiosa Chiesa del Gesù o Casa Professa e San Giuseppe dei Teatini ai Quattro Canti, ma anche luoghi segreti come l'Oratorio di San Giuseppe dei Falegnami in via D'Alessi e quello di San Mercurio in un cortile sulla via Benedettini.

23 settembre 2011, aggiornato il 12 ottobre 2012

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