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Colombia, una vacanza da Nobel

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Colombia, una vacanza da Nobel

Isola di Barù, foto Alamy
Isola di Barù, foto Alamy

Trovare sulle mappe l'Isola di Barú non è semplice. Anche perché Barú, lingua di terra che si allunga nel Mar dei Caraibi sulla Costa Atlantica della Colombia, di isola ha soltanto il nome, separata com'è dalla terraferma appena da un sottile canale che nella stagione secca si attraversa anche in auto. E se ne sta dentro un arcipelago protetto – il Parque Nacional Corales del Rosario y San Bernardo – soltanto per un pezzetto, come si conviene a un'isola che è isola a metà.

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GRANDI E PICCOLE ISOLE
Eppure, scivolando lungo i suoi fianchi affusolati lambiti da acque cristalline che hanno tutti i colori del Caribe, scanditi da infinite spiagge di sabbia – come la grande mezzaluna di Playa Blanca –, la sensazione di trovarsi su un'isola tropicale è fortissima. Qui non mancano nemmeno piccoli e raffinati eco-hotel. Come il resort Agua Barú (baia di Cholon, tel. 00575-6649479, bungalow per due da 302 euro con prima colazione) dove tutto è fatto con materiali naturali: i bungalow, circondati dal verde, sono in legno, palma e pietra di corallo, per gli arredi sono stati utilizzati fibre di mangrovia e tessuti naturali, e persino in cucina il pesce è di cattura e la frutta locale. Barú è punto di partenza per escursioni alla scoperta dell'arcipelago del Rosario: 27 tra isole e isolotti – alcuni talmente piccoli da ospitare appena il molo, altri privati – dove non ci sono auto e strade, ma solo spiagge solitarie mangiate dalle mangrovie e abbracciate da una barriera corallina ancora intatta, lagune, rocce e un mare ricco di vita. Le più grandi sono Isola Grande e Isola del Rosario, la più turistica è Isla del Pirata mentre la piccola San Martín de Pajarales custodisce un acquario dove nuotano pesci tropicali, squali e delfini.

LE TANTE ANIME DI CARTAGENA
Dall'arcipelago, attraversando lo stretto di Bocachica, si arriva a Cartagena de Indias, la città fortificata dai conquistadores nel XVI secolo e Patrimonio dell'Umanità Unesco. Spagnola, india e nera, Cartagena è un groviglio di quartieri dalle anime diverse: il vecchio barrio ebraico di Getsemaní, cuore della vita notturna, Manga, la zona residenziale, Bocagrande, la città moderna, e l'antica Ciudad Amurallada, il centro coloniale stretto da undici chilometri di mura spesse quindici metri. È qui, in una manciata di strade da fare tutte a piedi, che si raccoglie la parte più affascinante di Cartagena: la grande plaza de la Aduana, la più antica della città, la cattedrale, plaza Santo Domingo dove riposa la Gorda, la scultura di Fernando Botero, il Portal de los Dulces con la sua infilata di bancarelle cariche di dolciumi.

ALLA RICERCA DI MARQUEZ
"Vedrai, a Cartagena de Indias ogni cosa è diversa. Questa solitudine senza tristezza, questo oceano incessante, questa immensa sensazione di essere arrivato", ha scritto Gabriel García Márquez, il nobel colombiano figlio adottivo della città. Qui, ovunque, ci si imbatte nei luoghi che hanno ispirato i suoi romanzi. Come plaza Fernandez de Madrid, diventata Parco dei Vangeli nelle pagine de L'amore ai tempi del colera: sulle sue panchine il protagonista Florentino attende ogni giorno il passaggio dell'amata Firmina. Meno monumentale e più nascosta la piccola cripta sotto il Bar El Coro dell'hotel Sofitel, teatro delle vicende di Dell'amore e di altri demoni, mentre al quartiere di Getsemaní c'è ancora il Café Havana (calle de la Media Luna e calle del Guerrero, tel. 0057-3156902566) descritto in tanti suoi libri, che sfoggia alle pareti le foto dei grandi cantanti cubani.

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Per incontrare García Márquez però è d'obbligo una tappa sotto la sua casa, una specie di castelletto dalle mura gialle e arancioni di fronte al mare nel quartiere di San Diego, in cima alla città vecchia. Oppure ci si può aggirare tra le stradine del centro storico fino a raggiungere i tavoli de La Vitrola, (Calle Baloco 2-01, tel. 00575-6600711/6648243) ristorante che offre una cucina dalle forti influenze cubane, amatissima dallo scrittore colombiano Gabo.

17 novembre 2011, aggiornato il 5 luglio 2012

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