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Sardegna, tra spiagge e nuraghi

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Sardegna, tra spiagge e nuraghi

Cala Liscia Ruia, una delle spiagge più belle della Costa Smeralda (foto btravelstock44/Alamy/Milestone Media)
Cala Liscia Ruia, una delle spiagge più belle della Costa Smeralda (foto btravelstock44/Alamy/Milestone Media)

La chiamano la capitale della Costa Smeralda, ma Arzachena, con quei 55 chilometri di sassi e calette che dagli Anni '60 sono un paradiso per turisti danarosi, ha in comune soltanto la posizione geografica. Neanche con il mare, che dalle sue ripide strade di pietra neppure si vede, ha molta confidenza. Arzachena rimane intorno alle sue case di granito dove, migliaia di anni fa, nasceva una delle più misteriose civiltà preistoriche, quella dei nuraghi.

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Un centro storico fatto di case di conci di granito e scalinate in pietra grezza che si gira in fretta, raccolto com'è tra la settecentesca chiesetta di Santa Maria della Neve e il Mont'Incappiddatu, il monte con il cappello, che è poi un gigantesco tafone (una roccia di granito scavata da un lungo processo di erosione dovuto all'umidità del terreno che buca l'interno fino a creare grandi cavità) a forma di fungo, considerato il simbolo della città. Le radici di Arzachena però stanno fuori dalle sue mura, lungo la strada che va verso Luogosanto. È qui che sorge la necropoli di Li Muri, un gruppo di sepolture a cista dolmenica, ovvero delle cellette delimitate ai lati da lastre infisse nel terreno e sormontate da un'altra lastra dove veniva deposto il defunto.

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Altrettanto singolare è il vicino Tempietto di Malchittu: pianta a ellisse con le pareti curve, un piccolo ingresso e una camera con un bancone votivo. Qualche chilometro più a sud s'incontra il nuraghe Albicciu, uno dei più interessanti complessi archeologici della zona. Come tutti i suoi fratelli, gli oltre 7000 coni di pietra dal collo spezzato disseminati nell'intera Sardegna, è un enigma: gli studiosi non sono riusciti a spiegare né le loro origini, né la funzione. Albicciu poi, è particolarmente misterioso: realizzato in grossi blocchi di granito è formato da un lungo corridoio da un lato e alcuni tholos, camere che terminano con una falsa cupola, dall'altro. Accanto a circoli megalitici e complessi nuragici, Arzachena custodisce altre testimonianze delle civiltà preistoriche come le giganti sepolture collettive. Già da lontano Li Lolghi, la Tomba dei Giganti, colpisce per la sua maestosità: una stele alta 3,75 metri e larga 2,45 ai cui lati 14 blocchi di granito di grandezza decrescente formano un semicerchio. Meno imponente, l'altra costruzione funebre, Lu Coddu Vecchiu ha una sua metafisica eleganza: la bella stele fatta di due lastre di granito sovrapposte presenta in basso una falsa porta, simbolico accesso all'aldilà.

Misteriosa origine vanta anche un altro piccolo centro della Gallura interna, il paesino di Luras, disteso su un altopiano roccioso ai piedi del Monte Limbara. Qualche storico dice che sia una delle cinque colonie che gli Etruschi fondarono in Sardegna, altri invece lo fanno risalire ai Greci, altri ancora attribuiscono i natali della cittadina a un gruppo dei 4000 Ebrei deportati in Sardegna dall'imperatore romano Tiberio. Ipotesi. Di sicuro la storia di Luras comincia in tempi antichissimi come testimoniano i quattro dolmen ritrovati nei dintorni del paese. Sepolture collettive, opera di civiltà agro-pastorali vissute in queste regioni a partire dal III millennio a.C. Il più importante è quello di Ladas, una sorta di galleria di pietra fatta con grandi lastre infisse nel terreno ricoperte da una piatta e gigantesca tavola di pietra. Ma qualunque siano le sue origini, Luras è un piccolo mondo a sé. Un posto dove la gente parla una lingua diversa, il logodurese, di chiara derivazione còrsa.

Un luogo che vanta un artista piuttosto originale, Tonino Forteleoni, che per le sue opere usava soltanto una materia locale, il sughero. E nella sua casa, oggi trasformata in museo, si possono ammirare mobili, cassepanche, tavoli e quadri di sughero. Luras è anche la sede del Museo Etnografico Galluras, dedicato a una civiltà autarchica, solidale e superstiziosa: quella degli stazzi di Gallura. L'edificio che lo ospita è la perfetta ricostruzione di un vecchio stazzo, la tipica abitazione rurale della zona. Costituito da una serie di ambienti che illustrano la vita di queste zone dal '600 a tempi più recenti, espone attrezzi da lavoro di contadini e pastori, degli artigiani del sughero e delle tessitrici, e poi arredi e suppellettili domestiche, giochi dei bambini, vestiti. L'oggetto più misterioso della collezione è un martello di legno d'olivastro, forgiato in un unico pezzo e sorretto da un corto manico. È il mazzolu, lo strumento di un'antica e terribile tradizione locale: l'eutanasia nuragica. Veniva usato per dare la morte ai malati terminali dalla femina agabbadora, una donna che aveva il compito di dispensare la morte. Arrivava di notte, restava sola con il malato e poneva fine alle sue sofferenze con un colpo, preciso e secco, alla tempia.

24 maggio 2012

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