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Fotografare rovine per farle rivivere: il fenomeno Urbex

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VIAGGIO IN ITALIA

Fotografare rovine per farle rivivere: il fenomeno Urbex

(Foto Mauro Vasconi)
(Foto Mauro Vasconi)

L'Urbex (urban exploration-esplorazione urbana) è un ossimoro. Travalica i confini nazionali come fenomeno ma vive di ricerche dell'ignoto nell'immediata prossimità di chi la pratica: oltre il cancello di casa può nascondersi un tesoro. Di giorno in giorno aumentano i suoi adepti, a tutte le latitudini, che svelano online, spesso sotto pseudonimo e senza coordinate geografiche, luoghi abbandonati ritratti in tutta la loro bellezza e decadenza. Mistero, curiosità e passione per il proibito e una certa maturità sono dunque le caratteristiche degli eploratori urbani: uomini e donne (la cui età media è orientata verso gli anta) amanti della fotografia che, nei fine settimana, organizzano escursioni in luoghi remoti alla ricerca dello scatto perfetto.

Per capire di cosa si tratta basta cercare su Instagram l'hashtag #urbex per trovare oltre 6 milioni di post. Dal parco acquatico vietnamita nella città di Huei, alle ville di Beirut degli anni '80, dalle fabbriche e manicomi disabitati a Milano, Varese, Volterra, Verona, Mantova: sono questi i siti privilegiati dell'Urbex. L'attività ha regole precise, spiega Mauro Vasconi, it manager, che lo pratica da sei anni: la prima è mai muoversi da soli. «Sono luoghi abbandonati ma spesso mal frequentati. Si rischiano incontri con persone a volte pericolose che si sentono minacciate da incursioni esterne. Anche per questo l’esplorazione urbana non è adatta ai ragazzini». Meglio quindi condividere l'esperienza con amici o iscriversi a gruppi organizzati come Manicomio Fotografico, fondato da uno dei pionieri dell'Urbex in Italia, Stefano Barattini.

Gli strumenti e le regole degli esploratori urbani
A 61 anni, Barattini, che è stato un fotografo professionista ma lavora in banca, ha fondato nel 2013 Manicomio Fotografico ed è tra gli autori del progetto Ascosi Lasciti. Obiettivo comune ritrarre e ridare dignità attraverso la fotografia a strutture in palese stato di abbandono: «Nel mio portfolio ci sono le Cartiere Burgo tra Verona e Mantova progettate da Pierluigi Nervi, il manicomio di Mondello ormai devastato, ma anche vecchi collegi, colonie estive, chiese». L'esperienza Urbex prevede diverse fasi. La prima, la più importante, è trovare l'inesplorato documentandosi e usando diversi mezzi. Google Maps, in primis, racconta Vasconi, il bar del paese a raccogliere informazioni dai locali e il drone per ricognizioni mirate. Poi si parte, zaino in spalla. «Sempre in coppia e muniti di walkie talkie per comunicare, poiché i cellulari spesso non funzionano, ed equipaggiati con casco protettivo, scarponcini da montagna, scale, corde, torce, occhiali protettivi e naturalmente macchina fotografica e obiettivi», aggiunge Barattini.

«Arrivati in prossimità del luogo abbandonato, verificato che questo non sia presidiato da custodi o forze dall'ordine, si entra. Il rischio di una denuncia per violazione proprietà privata c'è sempre», mette in guardia il professionista. «Il nostro motto è non prendere nulla che non sia la fotografia, non lasciare niente che non siano le impronte». Con questo spirito, varcato l'accesso, si comincia a ispezionare l'area facendo attenzione però alle condizioni dello stabile.

La prudenza non è mai troppa, avverte il maestro di Urbex: «Massima attenzione a dove si mettono i piedi e ai soffitti pericolanti. Buche nascoste dall'erba nei pavimenti e crolli improvvisi del tetto sono da mettere in conto. Si posiziona il cavalletto, si controlla la luce e si scatta. Lontani dal frastuono della città, immersi nel silenzio interrotto soltanto da un volo di piccione o un pipistrello». L'esperienza però non si esaurisce qui. «È una corsa contro il tempo ad alto tasso di adrenalina e poesia. Fotografare questi luoghi è come rendere un omaggio postumo a quegli uomini che qui hanno vissuto e lavorato. C'è una sorta di contatto empatico con la struttura. Al mio passaggio è come se rivivesse. Per questo mi piace documentarmi anche dopo.

Ho scoperto ad esempio che una villa in Piemonte che ho fotografato era di un politico locale poi espropriata da un comando nazista. Acquistata nel dopoguerra da un artista del circo, funambolo, che morì senza eredi. Fini all'asta. Ora è un rudere ma conserva ancora un fascino indescrivibile».

Il sogno di tutti gli esploratori urbani? È che alcune di queste strutture possano essere recuperate. «Invio una segnalazione al Fai quando vedo qualcosa di notevole. E comunque una seconda vita a questi luoghi, per quanto effimera, gliela offriamo con le mostre fotografiche».

Il prossimo appuntamento è a Milano, dal 17 maggio al 7 giugno, al Bookshop Franco Angeli e si intitola “La voce dei colpevoli” e testimonia il senso del perdersi per il fotografo, e per chi era prigioniero in questi labirinti oscuri di dolore: i manicomi.

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