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Fini: «Una svolta
nel Pdl» Berlusconi: «Io miglior premier
in 150 anni di storia»

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10 settembre 2009

E' un fiume in piena, il presidente della Camera, Gianfranco Fini. D'altronde lo aveva detto fin da principio Fini: «Sarò diretto». Ed è stato di parola, quanto mai franco davanti allo stato maggiore del Pdl riunito a Gubbio. Un'ora di intervento per picconare senza sosta, scagliarsi contro Berlusconi, la Lega, il provvedimento sul biotestamento, l'approccio del Pdl sulle inchieste per le stragi, le politiche dell'immigrazione. Un fuoco di fila senza precedenti, che ha scosso i dirigenti e i simpatizzanti, prima pronti ad applaudirlo di fronte alla richiesta di una svolta nel Pdl, poi gelidi se messi di fronte ai temi più controversi, dall'integrazione alla bioetica. Appena presa la parola mette in fila due o tre concetti in modo ruvido: il primo destinatario è Umberto Bossi, «non sono mattarello», il secondo è il Giornale di Vittorio Feltri, «non leggo il Capitale e non sono un compagno travestito», il terzo sono tutti quelli che lo considerano in corsa per il Colle: «Non ambisco al Quirinale» e anzi «apprezzo» Giorgio Napolitano per il lavoro svolto. La sintesi è altrettanto secca: «Non è degno di un grande partito questo quotidiano stillicidio di affermazioni».

Siccome non è il giorno della diplomazia, il Presidente della Camera si rivolge direttamente al premier per invocare «un cambio di marcia: faccio appello al presidente del partito Berlusconi di dar vita davvero a momenti di confronto», perché il Pdl di oggi assomiglia «a Bolzano, temperatura non pervenuta». Insomma «caro Silvio, ieri dicevi che dal 27 marzo non abbiamo deciso nulla. Proprio questo è il punto. E' impensabile che dal 27 marzo il partito non abbia deciso nulla perché un partito non è un organigramma». Tirare le somme, per Fini, significa sollecitare maggiore «democrazia interna», e nessuno si permetta di dire che si tratta di «reato di lesa maestà». Ma Denis Verdini non ci sta: «Il Pdl in quattro mesi ha realizzato cose straordinarie». Poi, quasi a freddo, Fini butta nella mischia un altro tema delicato, caldissimo: l'ipotesi di riaprire le indagini sulle stragi di mafia del 1992-93: «Non dobbiamo dare il più lontano sospetto circa l'indisponibilità del Pdl di accertare la verità sulle stragi. Se ci sono fatti nuovi, anche dopo 14 anni le indagini vanno riaperte, soprattutto se non c'è nulla da nascondere, come sono sicuro su Berlusconi e Forza Italia». Passano pochi minuti e cala il gelo sul Presidente della Camera, un disagio di cui si fa portavoce Maurizio Gasparri: «La Magistratura sulle stragi si è pronunciata, ha fatto sentenze ed ha individuato dei colpevoli. Non vorrei che riaprire delle indagini servisse a ordire delle manovre, a me queste cose non convincono. Quando vedo Ingroia e Scarpinato che vanno alla presentazione del giornale di Travaglio, allora non sono convinto che agiscano per scoprire la verità». Ma non è finita qui. Fini non si sottrae alla discussione su immigrazione e biotestamento, non arretra rispetto alle scorse settimane, chiede «uno sforzo per avere una legge il più condivisa possibile che non sia solo di una parte: occorre ricercare un punto di sintesi, dismettendo la scimitarra». Dibattere, confrontarsi ed eventualmente «votare», è la sfida dell'ex leader di An. E quanto agli immigrati, Fini si toglie un altro sassolino: «Chiedere il voto non significa essere catto-comunista».Secondo il presidente della Camera sul tema bisogna ragionare non soltanto in termini di doveri, ma anche di diritti. «È miope - ha proseguito - pensare a questo grande tema solo sul versante della sicurezza. Non dico che è sbagliato. Il rigore è sacrosanto. Ma bisogna pensare anche all'altro versante, quello dell'integrazione. In un paese che ha 4 milioni di stranieri non si può continuare solo con una politica dei doveri, ma cominciare a pensare a una politica dei diritti». Il presidente della Camera ha aggiunto che «respingere i clandestini è legittimo, ma se sui barconi vedo bambini, la verifica della sussistenza del diritto di asilo la pretendo da un paese civile come il nostro. E ancora, sull'integrazione «la Lega ha una concezione diversa dalla mia e spero anche dalla vostra, e con la Lega occorrono comunque momenti di confronto». E sempre al Carroccio si rivolge quando dice: «Serve un confronto sui decreti attuativi del federalismo fiscale». Poi l'ex leader di Alleanza nazionale torna a guardare al Cavaliere: «Attento ai plauditori, a quelli che dicono che va tutto bene e poi, quando Berlusconi non sente, dicono qualcos'altro». Il governo, insomma, deve essere «coerente», a partire dalla questione meridionale, perché il Pdl è un «partito nazionale». E sulla crisi economica parlare delle difficoltà non significa «essere disfattisti», mette in chiaro. Termina l'intervento, Fini ascolta Fabrizio Cicchitto, poi prende la parola Gasparri e lascia la sala. Va via senza contestazioni e senza applausi, rapido, circondato da cronisti e guardie del corpo. Prima di salire in macchina qualcuno gli domanda: Come le è sembrata l'accoglienza? Lui si limita a rispondere: «Abbiamo cominciato a discutere». C'è chi insiste, gli chiede che conclusioni si possono trarre. Lui è lapidario: «Quello che dovevo dire l'ho detto, ognuno tragga le sue conclusioni».

10 settembre 2009
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