Il Consiglio dei ministri ha approvato a tarda sera il decreto interpretativo per risolvere il nodo delle liste alle elezioni regionali. Il governo nel pomeriggio aveva impresso un'accelerazione al piano alternativo per superare l'impasse legata al caos liste.
I contenuti li aveva ben sintetizzati il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «Non c'è nessuna norma che indichi dove fisicamente si debba entrare quando scadono i termini della consegna delle liste – aveva spiegato il coordinatore del Pdl –. Bene un decreto interpretativo potrebbe specificare che, entro quell'ora, basta trovarsi all'interno del palazzo ed è provato che a Roma, i presentatori della lista Pdl, erano dentro». Il premier Berlusconi in collegamento telefonico con il ministro per i Rapporti con le regioni Raffaele Fitto durante una iniziativa elettorale aveva confermato: «Sono uscito dal Consiglio dei ministri dove stiamo facendo un decreto legge interpretativo delle norme che attengono alle elezioni. Speriamo di poter ritornare a dare il diritto di voto anche ai nostri elettori del Lazio e della Lombardia».
Via d'uscita che l'opposizione ha, peraltro, bocciato sin dall'inizio. «Loro governano per cui si facciano carico dei problemi del paese – ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani - altrimenti si riposino e vadano a casa». Il leader dei democratici l'ha messa giù dura. «C'è una parola in questo paese che deve essere affermata e ripristinata: si chiama "regole". Le regole sono un presidio della democrazia e il centro-destra non si azzardi a parlare di complotto». Insomma la conferma di una chiusura netta a qualsiasi tipo di accordo, come Bersani aveva già fatto intendere giovedì. Ha gridato addirittura al golpe il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro. «Questo è un vero e proprio golpe contro il quale occorre opporsi con una chiamata alle armi democratiche».
L'esecutivo, però, tira ha tirato dritto. La conferma era arrivata già a metà pomeriggio dal ministro Calderoli: «Il Consiglio dei ministri si fa. Si va verso un decreto interpretativo». Mentre il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha parlato di «un serio tentativo, in un confronto positivo tra tutti i livelli istituzionali, per consentire un regolare svolgimento delle elezioni». La quadra trovata dal governo è dunque questa: un decreto-sanatoria. Così, a Roma, si farebbe rientrare il Pdl nella competizione sfruttando l'unica certezza emersa nelle svariate ricostruzioni sulla consegna della lista provinciale del Pdl: cioè che i due delegati erano entrati dentro il tribunale prima delle 12 salvo poi non riuscire a depositare in tempo il faldone con firme e candidati. Il Tar del Lazio lunedì darà una risposta giudiziaria al pasticcio della lista Pdl Roma che risulta per ora esclusa dalle elezioni regionali. Sempre che non arrivi prima la soluzione politica.
Sull'altro fronte, quello lombardo, il provvedimento-sanatoria agirebbe invece allentando le maglie dell'iter di verifica delle firme. Facendo così cadere le contestazioni su irregolarità legate a timbri e autentiche mosse dai giudici alle firme di sostegno del listino Formigoni. In altri termini, il decreto renderebbe meno rigida l'interpretazione delle procedure, consentendo al governatore di rientrare nella corsa. Del resto Berlusconi preferirebbe non limitarsi ad attendere il responso dei giudici amministrativi che, tra sabato e lunedì, decideranno sui due ricorsi presentati da Formigoni e dal Pdl romano. Il Tar lombardo si riunisce domani in camera di consiglio per decidere sulla sospensiva, e non nel merito, sui ricorsi presentati dal Pdl contro la decisione dell'Ufficio centrale regionale della Corte d'appello che ha escluso la lista di Roberto Formigoni.
È questa dunque la nuova strada imboccata dall'esecutivo. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, aveva già anticipato al capo dello stato, Giorgio Napolitano, i contenuti del provvedimento incontrandolo stamane durante la cerimonia di celebrazione del Servizio civile. I ministri, riuniti dal premier a palazzo Grazioli, hanno corretto il provvedimento da portare in Consiglio dei ministri, convocato in un primo momento alle 18, poi spostato alle 19.30, dopo un nuovo vertice di maggioranza.
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