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Domande e risposte / Non è l'anidride l'unica strada per curare il clima

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13 agosto 2009


Bjørn Lomborg, autore di "L'ambientalista scettico. Non è vero che la terra è in pericolo", ora pensa che sia fondamentale trovare un accordo a Copenaghen. Ecco le sue risposte alle domande dei lettori del "Financial Times":

Non pensa che dando troppa importanza a tecniche come la geoingegneria si rischi di fare troppo affidamento su avventure scientifiche estremamente arrischiate (più rischiose per l'ambiente, secondo me, di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica), con effetti sul clima di cui ancora sappiamo relativamente poco?
Jeremy Whipp (via e-mail)

BL: Lei ha ragione a dire che dovrebbe esserci un dibattito etico e informato sull'ingegneria climatica. E devo sottolineare che lo studio che abbiamo pubblicato la settimana scorsa (sui costi e i benefici delle diverse soluzioni di ingegneria climatica) è solo uno di una serie di studi che il Copenhagen Consensus Center sta pubblicando nel corso di questo mese. In ognuno di essi, vari economisti del clima analizzano i costi e i benefici delle diverse risposte al riscaldamento globale (taglio delle emissioni, metano o carbone vegetale, piantare più foreste, ecc.)
Per rispondere alla sua domanda: esistono dei rischi di cui bisogna tenere conto, ma non dobbiamo prenderci in giro pensando che altre possibili soluzioni al riscaldamento globale – come quella su cui sono maggiormente concentrati i nostri sforzi, cioè il taglio delle emissioni – siano esenti da rischi. Pensi a quello che è successo con i biocombustibili, e pensi anche ai possibili impatti sul libero scambio. E prenda in considerazione anche la cattedrale nel deserto che i leader politici probabilmente tireranno su: la legge Waxman-Markey è lunga 1400 pagine, regala compensazioni praticamente a chiunque, ma di fatto non fa nulla per ridurre effettivamente le temperature

Sono emersi nuovi dati, rispetto a quelli disponibili all'epoca in cui ha scritto i suoi precedenti libri, che l'hanno spinta a cambiare idea? O sta semplicemente interpretando gli stessi dati in modo diverso?
Pensa che le analisi e le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) dell'Onu rappresentino in modo corretto le teorie prevalenti fra i maggiori climatologi?
Nicolay Worren, Oslo (via e-mail)
BL: Sia neI mio primo libro scritto in danese, del 1998, sia nella versione inglese de L'ambientalista scettico, nel 2001, ho messo bene in chiaro che il riscaldamento globale prodotto dall'uomo è un dato di fatto. Nell'altro mio libro Stiamo freschi. Perche non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale, ho scritto: «Il riscaldamento globale è reale ed è prodotto dall'uomo. Produrrà un forte impatto sugli esseri umani e sull'ambiente verso la fine di questo secolo». Quello che sostengo da sempre è anche che esistono altre sfide globali che dobbiamo affrontare, e che alcune delle ipotesi estreme sul riscaldamento globale sono delle esagerazioni. Il mio punto di vista è che l'accurato lavoro di ricerca condotto dai climatologi dell'Ipcc è il riferimento migliore per capire che cosa possiamo attenderci dal riscaldamento globale. L'Ipcc, per scrivere i suoi rapporti, adotta procedure molto sensate e che non prestano facilmente il fianco alle critiche

Non ritiene che per noi «Paesi industrializzati» esista il rischio, se non riusciremo a elaborare uno stile di vita sostenibile, di perdere l'autorità morale per collaborare in quest'ottica con i Paesi in via di sviluppo?
Matthew Bates
BL: Io credo che uno dei problemi reali che abbiamo, dal punto di vista dell'«autorità morale» dei Paesi ricchi, è che oggi nei Paesi in via di sviluppo imperversano moltissimi problemi che potremmo risolvere a costi incredibilmente bassi, ma su cui non ci impegniamo. Per il nostro progetto dello scorso anno, il Copenhagen Consensus 2008, abbiamo preso in esame 10 grandi problemi mondiali e abbiamo studiato i costi e i benefici delle diverse soluzioni. Quel progetto ha dimostrato che è possibile affrontare, a bassissimo costo, il problema della malnutrizione e del gozzo, o portare l'acqua potabile a chi non ce l'ha.
Dal punto di vista del riscaldamento globale, la sfida più impegnativa che dobbiamo affrontare è fare in modo che il mondo intero – e non solo i Paesi ricchi – possa affrancarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili. Non sono convinto che un patto globale sulla mitigazione delle emissioni sia il modo migliore per arrivare a questa trasformazione. Trovare i metodi migliori per reagire al riscaldamento globale è uno degli scopi del nostro nuovo progetto, il Copenhagen Consensus on Climate, che mette in risalto i costi e i benefici dei diversi modi per rispondere a questa sfida

  CONTINUA ...»

13 agosto 2009
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