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Le lacrime dei commilitoni

di Cristina Balotelli

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20 settembre 2009


KABUL - Quando le sei bare sono state accompagnate sul C130 dell'aeronautica militare che porterà le salme dei paracadutisti in Italia, i volti dei loro commilitoni erano rigati di lacrime. Piangevano in silenzio, con grande dignità e compostezza. Non solo i giovani, ma anche gente di una certa età non ce l'ha fatta a respingere le lacrime. È stato il momento più straziante. Il C130 li aveva portati qui a Kabul tre giorni fa, il 17 settembre. Un altro C130 ora riporta in Italia le loro salme.
La cerimonia dell'ultimo saluto è cominciata alle 16 ora locale, nel piazzale dell'aeroporto della capitale afghana. Ci sono arrivata insieme ai militari di Camp Invicta su un elicottero militare CH47. Eravamo divisi in gruppi, per ognuno dei quali è stato messo a disposizione un elicottero. Ci siamo disposti sul piazzale. C'erano tutti i colleghi e amici dei parà uccisi. C'era il generale Marco Bertolini, numero due di Isaf, anche lui un paracadutista della Folgore. Sono arrivati anche il ministro degli esteri afghano e l'ambasciatore italiano in Afghanistan, Claudio Glaentzer.
Ogni bara, avvolta nella bandiera italiana, è stata portata in spalla da sei paracadutisti della Folgore, mentre un settimo reggeva un cuscino con il basco amaranto. Il cappellano militare ha aperto la funzione invitando alla preghiera. Poi ha preso la parola il comandante interinale al Coi, generale Ferro, chiedendo di tener viva la memoria dei morti. L'ambasciatore italiano ha ricordato anche le vittime afghane dell'attentato.
Prima del saluto militare, con il quale i militari italiani hanno reso omaggio ai caduti, il primo maresciallo luogotenente Franco Provenzale ha letto la preghiera del Paracadutista, sulle note del "Silenzio". Aveva la voce incrinata per la commozione. Impossibile non commuoversi nel ricordo di questi giovani italiani che non riabbracceranno le loro famiglie. Molti, tra i presenti alla cerimonia dell'ultimo saluto, li conoscevano. Avevano mangiato insieme a loro innumerevoli volte, fatto pattuglie con loro, viaggiato con loro, fatto insieme a loro addestramento. Qualcuno li ha addestrati, li ha fatti crescere. Come il comandante di Camp Invicta, colonnello Aldo Zizzo. Erano i "suoi" paracadutisti.
O come il caporal maggiore capo Andrea Longo, che comanda la squadra con la quale esco in pattuglia. Quando l'ho incontrato la prima volta era sconvolto: era stato sul luogo dell'attentato. Mi ci sono volute due pattuglie con la sua squadra, in mezzo alle insidie di Kabul, per vincere la sua reticenza a parlare. «Con la mia squadra sono stato lì per rinforzare il dispositivo di sicurezza», mi ha detto. «Non avevo mai visto prima un simile scenario: era tutto carbonizzato, c'era puzza di bruciato e il sangue per terra». Il caporalmaggiore scelto Antonino Errante doveva andare al matrimonio di Matteo Mureddu. «Non ho pianto, perché ho ancora troppa rabbia dentro». Poi ha aggiunto: «Matteo, Davide e Giandomenico li ho cresciuti io a livello lavorativo, perciò li conoscevo bene, erano dei ragazzi molto in gamba». Sul luogo dell'attentato hanno cercato di non farsi prendere dalle emozioni, concentrandosi su quel che dovevano fare. Ma una volta rientrati alla base hanno cominciato a realizzare cosa era successo.
«Per me erano come figli perché da quest'anno faccio anche il sottufficiale di compagnia e li conoscevo benissimo», mi racconta il primo maresciallo luogotenente Raffaele Cappai, 54 anni, sardo. Qui è detto "sindaco", perché a Camp Invicta si occupa della gestione degli alloggi e del benestare dei commilitoni. «Ogni mattina prima che uscissero li incontravo e chiedevo loro se era tutto a posto. Poi gli dicevo: mi raccomando, in bocca al lupo». In particolare, con il tenente Antonio Fortunato c'era un rapporto di amicizia fraterna. «Il tenente era una persona solare, sempre disponibile e subito, un bravissimo ragazzo», continua Cappai. «A Siena ci vedevamo sempre, quando portavamo a scuola i nostri figli, che hanno entrambi sette anni». Alla cerimonia funebre Cappai era molto commosso «questi ragazzi erano contentissimi quando hanno saputo che venivo qui a fare il maresciallo di compagnia. Mi chiedevano se era vero».
Intanto sull'agguato di giovedì le testimonianze sembrano convergere su almeno due punti: a bordo dell'autobomba c'era un attentatore suicida e ieri un alto responsabile del ministero delle Sanità ha detto che sono stati trovati i resti di un corpo «probabilmente quello del kamikaze». Confermata anche la circostanza della sparatoria che è seguita all'esplosione: diversi uomini hanno sparato contro i quattro parà feriti i quali hanno risposto al fuoco. E gli attentati non si placano in Afghanistan: ieri a Kandahar una bomba nascosta su una bicicletta è esplosa al passaggio di un veicolo dell'esercito afgano, uccidendo almeno cinque persone - quattro civili e un soldato - e ferendone altre quindici.

20 settembre 2009
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