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Un contratto sociale per proteggere il web

di Marco Valsania

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16 gennaio 2010

Da guru della prima ora a critico preoccupato. Jaron Lanier, 49 anni, mette in guardia contro la deriva del web 2.0: «L'idea iniziale di internet era collegare la gente, oggi assistiamo a un isolamento fra le persone».
La rivoluzione digitale è stata tradita; sull'autostrada elettronica viaggia un mondo anomino, preda di appiattimento e impoverimento culturale, dove può crescere "mob mentality", la mentalità da linciaggio. Lanier offre una possibile soluzione: un nuovo contratto sociale per il web, fondato su un sistema di micropagamenti gestito direttamente dal governo, piuttosto che da un'azienda quale Google. La sua idea parte da un ragionamento: il contenuto gratuito può sembrare attraente ma non lo è davvero, perché sottrae risorse alla creatività. Invece, sottolinea Lanier, «un sistema di piccoli pagamenti, per pezzi d'informazione o opere d'ingegno, potrebbe essere accettato da tutti, potrebbe incentivare l'innovazione e creare un nuovo equilibrio: l'importante è che l'accesso sia a basso costo e universale». Occorre - questa è la sua proposta - una forma di protezione, di riconoscimento del contenuto, forse diversa, meno rigida del copyright.

Il guru, inoltre, è preoccupato per il possibile imbarbarimento della Rete: «Il problema esiste: quando le persone non sono più individui, emergono la mentalità del branco, il rischio di escalation della crudeltà e di posizione estreme, che poi internet amplifica enormemente. Mi auguro di sbagliarmi. Credo che la riforma auspicata, con incentivi ad assumersi la responsabilità di quanto compare sul web, possa avere un effetto civilizzante».

E, ora, dopo aver espresso tutti i suoi dubbi sulla Rete nel suo ultimo "You are not a gadget: a manifesto", incassa anche le accuse di essere un nostalgico della prima ora: «Sono un idealista, non un fautore di concezioni elitarie del web e accetto come un complimento la definizione di romantico».

Jaron Lanier lancia un allarme sul futuro di internet e dell'umanità: se viene considerato alla stregua di un gigante vivo, se a questo novello Moloch si sacrifica l'individuo, il risultato è tutt'altro che auspicabile. «L'idea era collegare la gente - dice -, la realtà è diventata l'isolamento». La rivoluzione digitale è stata tradita; sull'autostrada elettronica viaggia un mondo anomino, preda di appiattimento e impoverimento culturale, dove può crescere mob mentality, la mentalità da linciaggio. Dove il modello prevalente che vuole tutto aperto e gratuito minaccia di far sparire intellettuali e artisti, impossibilitati "a guadagnarsi da vivere". Dove l'unica cultura protetta resta la pubblicità. Dove avanza il totalitarismo della hive mind, la mente-alveare, spronato da protagonisti quali Google, Wikipedia e Facebook («Un insulto alla nozione di amicizia»). Tanto da azzardare paralleli tra uno di questi, Google, e le autorità cinesi: vocazione al partito unico da una parte, all'accesso unico al web dall'altra. Anche se Lanier riconosce il coraggio dell'azienda fondata da Sergey Brin e Larry Page nello scontro con Pechino sulla censura.

L'allarme può sembrare apocalittico, ma il messaggero ha carte in regola. Lanier offre una risposta: un nuovo contratto sociale per il web, fondato su un sistema di micropagamenti gestito dal governo. A 49 anni e con i capelli raccolti in lunghi boccoli, nel cyberspazio è oggetto di culto: si è meritato, ama ricordare con un sorriso, un francobollo dall'isola di Palau. E al 92 Street Y, l'istituzione culturale newyorchese dove lo incontriamo, è pronto a discutere la sua ultima incarnazione: quella di autore di libri, reduce dalla pubblicazione di You are not a Gadget, a manifesto. Pagine che coronano la storia di un autentico pioniere. Nato a New York, è cresciuto nel New Mexico, il padre scrittore di fantascienza e la madre pianista, è nel deserto che ha imparato a programmare computer: la locale università pullulava di esperti high-tech, per la concentrazione di attività militari. Le sue precoci conoscenze gli tornarono utili quando, dopo vari mestieri compreso il pastore di capre, arrivò nella Silicon Valley. Qui trovò facilmente lavoro, e anche il proverbiale garage per i suoi esperimenti. Quelli sulla realtà virtuale, di cui è considerato il padre. Ne seguì una società, Vpl Research, poi persa. I suoi eclettici interessi intellettuali non si sono arrestati: è musicista e compositore, ha suonato con artisti contemporanei da Philip Glass a Ornette Coleman, e vanta una collezione di mille strumenti rari. E colleziona anche incarichi universitari e aziendali, da docente interdisciplinare a Berkeley a collaborazioni con Microsoft.

Che cosa è accaduto a suo avviso sull'autostrada elettronica?
Il mio non è un attacco generalizzato. Siamo davanti a una "torta" con più strati: i primi due, l'internet e il web che permettono connessione e interazione, sono cruciali per un mondo globale, per l'umanità e la sua sopravvivenza. Il problema è l'ultimo strato, il più recente, il web 2.0, che promuove una libertà per le macchine più che per le persone. È la convinzione che internet sia un sistema con vita propria, frutto d'una visione assolutista dei computer e del web, quasi fossero superiori all'essere umano e capaci di controllare il pianeta. La glorificazione di una open culture, di collaborazioni collettive e anonime stile Wikipedia, che può mortificare l'innovazione, che premia la quantità sulla qualità.

  CONTINUA ...»

16 gennaio 2010
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