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Perché anche il XXI secolo andrà a petrolio

di Daniel Yergin

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27 agosto 2009

In un pomeriggio senza vento, sotto il sole caldo dell’Oklahoma, non si vede una nuvola né un refolo di «volatilità». Niente di niente. Tutto quello che si vede sono cisterne piene di petrolio, a centinaia, sparpagliate sui fianchi ondulati delle colline, alcune nuove di zecca, altre vecchie di oltre settant’anni, e alcune che conservano dentro alla pelle argentata o arancio-ruggine più di mezzo milione di barili ciascuna.

Siamo a Cushing, Oklahoma, il punto di raccolta per quella varietà di greggio leggero e dolce conosciuta come West Texas Intermediate, o semplicemente Wti. È il petrolio di cui ogni giorno sentiamo annunciare il prezzo («Il Wti ha chiuso oggi a…»). Cushing si autoproclama, com’è scritto sul cartello che ti accoglie quando entri in città, «il crocevia mondiale degli oleodotti». Attraverso questa cittadina passa la rete di condutture che trasporta il petrolio dal Texas, dall’Oklahoma e dal Nuovo Messico, dalla Louisiana e dalla costa del Golfo del Messico, e anche dal Canada, nelle cisterne di Cushing, dove gli acquirenti diventano formalmente proprietari del greggio per poi dirottarlo verso le raffinerie, dove verrà trasformato in benzina, combustibile per aerei, gasolio, combustibile per il riscaldamento e tutti gli altri prodotti che la gente concretamente usa.

Ma non è questo che rende tanto importante Cushing. Dopo tutto nel mondo esistono altre località dove affluiscono quantità di petrolio molto maggiori. La cittadina dell’Oklahoma gioca un ruolo di primissimo piano nella nuova industria petrolifera mondiale perché il Wti è il benchmark principale e il prezzo delle altre varietà di petrolio viene stabilito in rapporto a questo. Ogni giorno, milioni di «barili di carta» di petrolio Wti vengono scambiati sul parterre della Borsa merci di New York, a Lower Manhattan, un incredibile commercio virtuale dai volumi sempre maggiori e che si muove alla velocità della luce in tutto il mondo rimanendo collegato in qualche modo, non importa quali dimensioni arrivi ad assumere, a un barile di petrolio qui a Cushing.

Queste frenetiche contrattazioni quotidiane hanno contribuito a trasformare il petrolio in qualcosa di nuovo, non soltanto una materia prima vitale per la sicurezza e l’economia delle nazioni, ma anche un asset finanziario, parte di quel grande interscambio istantaneo di azioni, obbligazioni, valute e tutto il resto di cui si compone il portafoglio finanziario mondiale. Oggi, gli scambi quotidiani di questi «barili di carta» (future sul petrolio greggio) equivalgono a una cifra superiore di oltre dieci volte al consumo quotidiano di barili di petrolio fisici. Aggiungete gli scambi che avvengono in altre Borse o al di fuori delle Borse, e il rapporto può arrivare a 30 a 1. E se a Cushing il petrolio entra ed esce al ritmo costante di 4 miglia l’ora, i mercati mondiali dell’oro nero sono tutt’altro che stabili.

Ecco perché, mentre lavoro a una nuova edizione de Il premio e cerco di capire che cos’è cambiato nel settore dai primi anni 90, quando scrissi la storia della materia prima più preziosa e fraintesa del pianeta, continua a spuntare fuori la parola «volatilità». E come potrebbe essere altrimenti? Anzi, quando la gente pronuncia questa parola, spesso è proprio al petrolio che allude. L’11 luglio 2008 il Wti toccò il tetto dei 147,27 dollari al barile; esattamente un anno dopo era a 59,87 dollari; fra queste due date, a dicembre, era precipitato addirittura a 32,40 dollari. (E non ci dimentichiamo che poco più di un decennio fa era a 10 dollari al barile e sembrava che i consumatori avrebbero nuotato in eterno in un mare di petrolio a buon mercato.)

Queste oscillazioni incontrollate non riguardano solo gli hedgers (produttori di petrolio, compagnie aeree, rivenditori di combustibile per il riscaldamento, ecc.) e gli «speculatori», gli operatori finanziari. Si manifestano nel variare dei prezzi alle stazioni di benzina. Suscitano passioni politiche e alimentano i sospetti dei consumatori. La volatilità rende anche più difficile pianificare investimenti energetici futuri, si tratti di petrolio e gas naturale o di combustibili alternativi ed energie rinnovabili. E può avere un impatto sconvolgente sull’economia mondiale. Dopo tutto, Detroit è stata messa al tappeto, ancora prima della crisi del credito, da quello che è successo alla pompa di benzina nel 2007 e nel 2008. L’impatto colossale di queste oscillazioni è la ragione che ha spinto recentemente il primo ministro britannico Gordon Brown e il presidente francese Nicolas Sarkozy a chiedere una soluzione globale per questa «volatilità distruttiva». Ma, sono stati costretti ad aggiungere i due leader, «non esistono soluzioni semplici».

Questa volatilità è un elemento della nuova era del petrolio. Perché se Cushing sembra più o meno la stessa di quando uscì la prima edizione de Il premio, il mondo del petrolio appare molto cambiato. Oggi c’è chi parla della «fine del petrolio». Se è così, replicano altri, stiamo entrando in un lunghissimo addio. Una caratteristica di questa nuova era è che il petrolio ha sviluppato una duplice personalità, come materia prima concreta ma anche come asset finanziario. Altre tre caratteristiche distintive di questa nuova epoca sono la globalizzazione della domanda di petrolio, un cambiamento enorme rispetto ad appena un decennio fa; l’ascesa dei cambiamenti climatici come fattore politico che determina le nostre decisioni su come, e quanto, useremo il petrolio in futuro; e la spinta alla creazione di nuove tecnologie che potrebbero avere effetti straordinari sul petrolio e sul resto del portafoglio energetico.

  CONTINUA ...»

27 agosto 2009
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