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Nel debito Usa i semi della decadenza

di Niall Ferguson

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6 aprile 2010
Nel debito Usa i semi della decadenza

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Scenari da incubo
La storia ha più volte dimostrato che una grave crisi finanziaria è seguita da un'altrettanto grave crisi fiscale. «In media – hanno scritto Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel libro This time is different – il debito pubblico aumenta dell'86% nei tre anni seguenti a una crisi bancaria». All'indomani di queste esplosioni del debito, le possibilità sono due: o l'inadempienza, che avviene di solito quando il debito è in valuta straniera, oppure un aumento vertiginoso dell'inflazione. La storia di tutti i grandi imperi europei è piena di simili episodi. Anzi, ripetute inadempienze ed elevata inflazione sono spesso stati sintomi infallibili del declino di un impero. Poiché appare alquanto improbabile che gli Usa risultino inadempienti rispetto al proprio debito che è tutto in dollari, il punto decisivo è dunque se la Fed inizierà a “stampare denaro” (comprando titoli di stato appena emessi in cambio di nuovi dollari) con il corollario dell'aumento dei prezzi e della riduzione del peso del debito reale.

È uno scenario temuto da molti investitori nel mondo, ed è proprio per questo che vendono dollari e comprano oro. Tuttavia, in questo momento l'inflazione appare una prospettiva remota. Con un tasso di disoccupazione superiore al 10%, sindacati relativamente deboli ed enormi riserve di capacità inutilizzata nel settore manifatturiero globale, mancano tutte le pressioni che hanno determinato la stagflazione (bassa crescita congiunta ad alti prezzi) negli anni 70. Anche le aspettative d'inflazione sono sostanzialmente stabili, a giudicare dai sondaggi e dalla differenza tra il rendimento delle obbligazioni standard e quello delle obbligazioni indicizzate. Ecco quindi un altro possibile scenario, per molti aspetti più allarmante di quello dell'inflazione: un aumento dei tassi reali, che sono costituiti dal valore concreto del tassi meno l'indice d'inflazione. Un recente studio indica che «un aumento di 20 punti in percentuale nel rapporto tra debito pubblico e Pil dovrebbe portare a un aumento dei tassi reali oscillante tra 20 e 120 punti ».

Questo può accadere in tre modi: i tassi nominali crescono e l'inflazione rimane stabile; i tassi nominali rimangono stabili e l'inflazione scende; oppure – ed è lo scenario più spaventoso – i tassi salgono e l'inflazione scende. I keynesiani negano che questo possa accadere. Ma la storia li smentisce. Si possono citare un certo numero di casi (per esempio, la Francia negli anni 30 del XX secolo) in cui i tassi nominali sono saliti persino in un periodo di deflazione. Cosa ancora più importante, è proprio quello che sembra accadere in questo momento in Giappone. Soltanto una settimana fa Hirohisa Fujii, il ministro delle Finanze, ha dichiarato di essere «estremamente preoccupato» per l'aumento dei rendimenti delle obbligazioni governative giapponesi. Negli stessi giorni, il governo ha ammesso che il paese, dopo tre anni di moderato aumento dei prezzi, si trovava di nuovo in una fase di deflazione.

Come pagare gli interessi
Non è affatto impossibile che qualcosa del genere accada anche negli Usa. Gli investitori stranieri potrebbero esigere un più elevato rendimento nominale sui titoli di stato, per compensare le perdite conseguenti all'indebolimento del dollaro. E l'inflazione potrebbe continuare la sua caduta; già oggi l'inflazione dei prezzi al consumo è di segno negativo. Perché dovremmo temere l'aumento dei tassi reali in anticipo sull'inflazione? La risposta è la seguente: per uno stato fortemente indebitato tale aumento significa un onere sempre più pesante per rimborsare il debito pubblico. La durata relativamente breve della gran parte di questi debiti significa che una larga fetta di essi deve essere differita ogni anno. E questo significa che qualsiasi aumento dei tassi si ripercuoterebbe in tutto il sistema in modo spaventosamente rapido. Il Cbo ha già previsto che il pagamento degli interessi sul debito del governo federale salirà dall'8% delle entrate nel 2009 fino al 17% entro il 2019, persino se i tassi rimanessero bassi e la crescita riprendesse.

Se invece i tassi aumenteranno anche di poco e l'economia ristagnerà, quella percentuale arriverà ben presto al 20 per cento. E la storia dimostra che se si spende quasi un quinto delle entrate per il servizio del debito, c'è qualcosa che non va. È davvero facilissimo precipitare nel circolo vizioso di una progressiva perdita di credibilità. Gli investitori non credono più nella capacità di saldare i debiti, e quindi impongono un interesse più alto, facendoti precipitare ancora più in basso.

Questo è molto più importante per una superpotenza che non per una piccola isola dell'Atlantico, per una ragione semplicissima. Poiché il pagamento degli interessi divora il bilancio, diventa necessario rinunciare a qualcosa; e questo qualcosa di solito sono le spese per la difesa. Secondo il Cbo, si è già avuta una netta riduzione della quota assegnata alla sicurezza nazionale nel bilancio federale. Sulla base dei piani del Pentagono, la spesa per la difesa dovrebbe scendere da poco più dell'attuale 4% del Pil al 3,2% nel 2015 e al 2,6% nel 2028. Nel lungo periodo – diciamo fino al 2039 – la spesa per l'assistenza sanitaria dovrebbe salire dal 16 al 33% del Pil. Ma le spese per qualsiasi altro capitolo che non sia la sanità, il sistema di previdenza sociale e il pagamento degli interessi sono destinate a scendere dal 12 all'8,4 per cento.

  CONTINUA ...»

6 aprile 2010
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