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Adozioni gay, i margini del giudice all’interno della legge

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ANALISI

Adozioni gay, i margini del giudice all’interno della legge

  • –di Donatella Stasio

Piero Calamandrei si rivolterebbe nella tomba se sentisse dire che i giudici sono «bocca della legge», obbligati ad applicarla, non a interpretarla, tanto meno in modo evolutivo. Lui - liberale, padre costituente, avvocato, fine giurista - versò fiumi di inchiostro per spiegare che il giudice è «uomo sociale» e che ridurre la sua funzione a un «puro sillogizzare vuol dire inaridirla, impoverirla, disseccarla. La giustizia - scriveva - è qualcosa di meglio: è creazione che sgorga da una coscienza viva, sensibile, umana, vigilante. Ed è proprio questo calore vitale, questo senso di continua conquista, di vigile responsabilità che bisogna pregiare e sviluppare nel giudice».

Sono trascorsi sessant’anni, ma ecco che adesso la (preventiva) levata di scudi del centrodestra (da Alfano a Costa, da Gasparri a Lupi) contro i giudici e le «sentenze creative» in materia di unioni civili e di stepchild adoption ci fa fare un salto indietro nel tempo. Parole anacronistiche, quanto meno, e dal sapore intimidatorio visto che il 26 maggio ci sarà la prima decisione della Cassazione proprio sulla stepchild adoption, dopo una serie di pronunce dei giudici di merito che - prima, durante e dopo la legge sulle unioni civili - hanno riconosciuto il diritto del partner di una coppia omossessuale convivente di adottare il figlio del compagno.

“La giustizia è qualcosa di meglio: è creazione che sgorga da una coscienza viva, sensibile, umana, vigilante. Ed è proprio questo calore vitale, questo senso di continua conquista, di vigile responsabilità che bisogna pregiare e sviluppare nel giudice”

Pietro Calamandrei 

Il timore di una conferma di questa giurisprudenza da parte della suprema Corte fa dire al centrodestra che il giudice non può interpretare la legge andando al di là della volontà del legislatore e, dunque, della «sovranità popolare», e che la volontà della legge è chiara perché «il popolo, attraverso il Parlamento, ha escluso le adozioni per le coppie omosessuali». Ha gioco facile il ministro della Giustizia Andrea Orlando a ricordare che non spetta alla politica dire ai giudici come devono interpretare la legge nei casi al loro esame e che, in un caso come questo, l’interpretazione «non è comprimibile» perché al centro c’è l’interesse del minore. E tuttavia, la contrapposizione politica resta, blocca ogni soluzione legislativa, crea confusione nell’opinione pubblica, getta un’ombra sui giudici anche se scarica proprio sui giudici la soluzione, perché non possono sottrarsi dal dare risposte alle domande di giustizia dei cittadini.

La levata di scudi contro le sentenze creative dei giudici sulla stepchild adoption parte anzitutto da una premessa errata, anzi falsa. E cioè che lo stralcio, dalla legge sulle unioni civili, dell’articolo 5 sulla stepchild equivarebbe a un implicito divieto di estendere l’adozione alle coppie omosessuali. Così non è. Il silenzio della legge non equivale a un divieto. Il quadro normativo resta immutato, in attesa che il Parlamento vari la riforma delle adozioni. Tra l’altro, la legge sulle unioni civili contiene la clausola secondo cui «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»: una clausola che, malgrado la sua genericità, sembra far salve le interpretazioni finora maturate e che, comunque, lascia ai giudici il compito di stabilire, caso per caso, che cosa è consentito dalle norme vigenti.

Il perimetro entro cui si muove il giudice, però, è quello del sistema di norme ordinarie, costituzionali e delle Convenzioni europee, nonché dei principi affermati dalla Consulta e dalla Corte di Strasburgo (dalla quale, peraltro, ci è arrivato il richiamo alla non discriminazione e al riconoscimento delle unioni civili). È “dentro” questo perimetro che il giudice deve trovare la regola da applicare al caso concreto. Tenendo conto soprattutto degli imperativi posti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Si chiama interpretazione sistematica, non creativa.

Finora, la giurisprudenza di merito si è espressa in favore della stepchild adoption, applicando l’articolo 44, lettera D della legge 184 del 1983 sulle adozioni, che consente una forma minore di adozione «in casi particolari», nell’interesse del bambino. Starà ora alla Cassazione decidere se seguire quell’interpretazione o discostarsene, anche se è difficile immaginare che proprio la suprema Corte faccia una marcia indietro sulla strada - intrapresa ormai da una quindicina di anni e ispirata a valori laici - del riconoscimento di un nucleo comune di diritti (e di doveri) per ciascun componente della famiglia - intesa come formazione sociale volta alla sviluppo della personalità -, a cominciare dall’interesse del minore. Sentenze storiche, frutto non di arbitrio né di una bizzarra creatività, ma di quella «immane responsabilità che - diceva Calamandrei - è il rendere giustizia».

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