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Grande fratello social network

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internet e affari

Grande fratello social network

I siti web più visti per Paese
I siti web più visti per Paese

di Luca Tremolada

Non era inevitabile ma era prevedibile. Apple, Samsung, Sony e tutti i grandi costruttori di elettronica di consumo si sono allargati. Non si accontentano più di confezionare banali oggetti tecnologici nati per “semplificarci” la vita. Puntano più in alto. Gli smartphone, lo sappiamo, sono diventati parti della nostro corpo, protesi da cui non riusciamo più a separarci.

Attraverso sensori, braccialetti e ammennicoli vari ci tengono d’occhio, misurano le nostre funzioni vitali, quantificano i nostri sforzi mentre facciamo ginnastica. Da loro dipendiamo per il lavoro e per (anche se è triste) per gli affetti. E non è ancora niente: ancora più ambiziosi sono i big del web. I social network e i grandi signori della rete sono ormai parte integrante della nostra vita digitale e non. Facebook, Yahoo!, Google sono piattaforme digitali, ecosistemi online che si propongono come luoghi di governo e gestione non più solo relegati all’intrattenimento. Senza usare iperboli, i tentacoli di questi gruppi si sono estesi davvero dappertutto.

Prendiamo Apple che con una capitalizzazione di 700 miliardi di dollari è oggi il gioiello più brillante della Silicon Valley. Ha inziato con i computer, poi ha inventato gli smatrtphone, i tablet il mercato della musica digitale, sdoganato i sistemi di pagamento mobili e ora si sta interessando alla sanità. ResearchKit è una piattaforma software open source per la ricerca medico-sanitaria. L’obiettivo è di aiutare medici e scienziati a raccogliere dati attraverso gli Apple Watch e le applicazioni per iPhone e metterli in relazione con alcune specifiche patologie. Avviene tutto su base volontaria, sia ben chiaro. Apple ha dichiarato che i dati resteranno anonimi e saranno raccolti sui server dei gruppi di ricerca coinvolti nello studio. Tuttavia, anche a volersi fidare a tutti i costi, è un fatto che sui dispositivi di Cupertino transiteranno informazioni sulla nostra salute.Un altro big da tenere d’occhio è Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook. È lui a febbraio dell’anno scorso a pronunciare queste parole: «Tutti meritano di essere connessi ... la connessione è un diritto umano ... vogliamo offrire internet a cinque miliardi di persone al mondo che al momento non hanno accesso alla rete». Con il candore che si perdona solo agli idealisti promise di voler connettere tutto il globo chiedendo con ai giganti delle tlc una mano per tagliare il costo di internet.

L’appello è sembrato cadere nel vuoto. Ma pian pianino Mark Zuckerberg con il progetto Internet.org sta mantenendo le promesse dimostrando di voler giocare un ruolo che va ben oltre quello del gestore di un social network per ritrovare gli amici. Settimana scorsa, neanche a farlo apposta, ha annunciato un nuovo servizio per abilitare scambi di denaro fra i suoi utenti attraverso Messenger. E che potrebbe essere l’anticamera per altri, ad esempio per lo shopping online.

Chi però si candida a entrare davvero in ogni meandro della nostra vita è Google. Ha iniziato come motore di ricerca diciotto anni fa. Oggi è leader di questo mercato e tutti noi bene o male passiamo da lui per cercare cose su internet. Il colosso di Mountain View è oggi seduto sulla più grande piattaforma online per i smartphone e tablet. L’ecosistema collegato ad Android governa otto smartphone su dieci. Ma quello dei telefonini è solo un piccolo pezzetto delle ambizioni dei due fondatori Sergey Brin e Page. Per la cronaca Google è quella dell’auto che si guida da sola, dei Google Glass (chi li ha visti?) e di YouTube. Pochi sanno che sta investendo in energie rinnovabili, nella robotica avanzata, nei big data, nei termostati (Nest) e nella casa connessa. Come Facebook ha un progetto (Project Loon Google) per portare internet nelle zone del Pianeta meno avanzate (pare intenda utilizzare una rete di palloni aerostatici). E vuole diventare un operatore mobile virtuale e cioè fornitore di connettività wireless pur senza possederne le infrastrutture e licenze ma sfruttando quelle esistenti. Definirli potenze sovranazionali è un po’ troppo. Sarebbe come considerare Facebook alla stregua dell’Onu. Eppure, Apple, Google, Microsoft si configurano come piccole città-stato, macro-regioni del web che intrattengono, informano, risolvono problemi a persone e aziende su scala globale.

Ognuno gioca la sua partita. C’è chi vende pubblicità, usando i nostri dati in cambio di intrattenimento e chi vende telefonini e computer offrendo un ecosistema di servizi esclusivo. Chi punta sull’integrazione di hardware e software e chi si limita a offrire spazio sul web. Visti dall’altro sono imperi connessi e in connessione tra loro che offrono servizi, vendono pubblicità e gestiscono i propri cittadini-utenti con regole e incentivi non sempre trasparenti. Complice da un lato la loro duplice natura di editori e fornitori di software e servizi. Dall’altro la conoscenza che hanno di noi e delle nostre abitudini. La nazioni e gli organismi giudiziari faticano a prendere le misure di queste multinazionali. I consumatori agitano il feticcio della privacy ogniqualvolta si scopre che qualche organizzazione ha guardato dove non doveva in barba alla legislazione nazionale (come nel caso dello scandalo Nsa). Gli Stati controllano il mercato e intervengono in punta di diritto quando si configura una posizione dominante o una violazione della normativa sulla protezione dei dati. Il corto circuito è nelle cose perché diritto e tecnologie hanno tempi e incentivi diversi. Le multinazionali anche quando hanno un funzioni pubbliche restano soggetti privati mossi dal profitto. Proprio in quanto soggetti economici un qualche potere lo hanno i cittadini-utenti. Sono loro che devono chiedere regole chiare, piattaforme interoperabili e protezione dei dati. Siamo quindi noi che dobbiamo vigilare e negoziare i nostri diritti.