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Pragmatismo e compromesso

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L'ANALISI

Banche, accordo Italia-Ue sui crediti deteriorati: pragmatismo e compromesso

Non poteva essere facile disegnare un compromesso tra Bruxelles e Roma sulla liquidazione dei crediti problematici delle banche italiane. L'incontro tra il ministro Padoan e la commissaria Vestager si è concluso infatti nella tarda serata di ieri.

Di fatto con il semplice annuncio che un accordo era stato raggiunto sulla base di una garanzia pubblica, sulle tranches senior dei crediti problematici, concessa a prezzi di mercato. Solo l'analisi approfondita dei dettagli dell'intesa rivelerà se si potrà parlare di una svolta decisiva per mettere al sicuro il sistema bancario italiano dopo i recenti episodi di eccezionale instabilità finanziaria. Per ora le prime indicazioni non si discostano dagli orientamenti emersi nei giorni scorsi che sotto diversi aspetti non sembravano del tutto convincenti.

Le condizioni di fragilità del sistema bancario sono apparse chiaramente all'inizio dell'anno. Ma da tempo il governo stava cercando di costruire uno schema che consentisse alle banche italiane di vendere i crediti deteriorati, che ammontano a circa 200 miliardi di euro, pesano sui bilanci e ostacolano la ripresa del credito all'economia. La Commissione europea era d'accordo, ma ha chiesto che la soluzione non comportasse sussidi né garanzie pubbliche fatte pagare alle banche meno del loro valore di mercato, perché ciò avrebbe creato uno svantaggio nella posizione competitiva delle altre banche. L'urgenza di ridurre l'instabilità finanziaria non è sembrata tra le prime preoccupazioni della commissaria.

L'incontro di ieri con il ministro Padoan ha dovuto dunque percorrere un sentiero impervio, cioè creare una garanzia “pubblica di mercato”, di fatto una garanzia dello Stato che non offre benefici. L'istituto adottato sarebbe una garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs), neutrale rispetto al prezzo a cui ogni banca cederà i crediti problematici a nuove entità. L'aspettativa è che la garanzia pubblica e un meccanismo di tranches almeno agevolino la dismissione dei crediti. Ma senza un sostegno ai prezzi dei crediti deteriorati, le minusvalenze subite dalle banche nel corso della cessione dei crediti potrebbero mettere a nudo le difficoltà patrimoniali del sistema, anziché ridurle. La scelta di operare attraverso una garanzia diretta dello Stato sulle banche andrà dunque verificata perché potrebbe gravare su di essa una contraddizione: o non renderà conveniente per le banche la cessione dei prestiti problematici, oppure violerà la disciplina degli aiuti di Stato.

Per aggirare questa contraddizione non sono disponibili soluzioni semplici. È necessario operare su più livelli e attenuare l'opposizione di Bruxelles alle eventuali distorsioni di mercato causate dagli aiuti di stato. Uno studio pubblicato ieri dalla Sep (Luiss) per esempio ha proposto un meccanismo di “doppia garanzia” che consenta alle banche di cedere i crediti sofferenti a investitori specializzati con una propria garanzia e a prezzi di mercato sostenuti dal beneficio di una seconda garanzia (pubblica) che per la propria stessa esistenza finirebbe molto probabilmente per non essere mai attivata. Ma anche in tale schema, era necessario spiegare a Bruxelles che questa forma leggera di intervento di Stato sarebbe stata compatibile con la normativa europea, basandosi tra l'altro sull'art. 45 della Comunicazione sul settore bancario del 2013, che consente deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato qualora un divieto metta in pericolo la stabilità finanziaria o determini risultati sproporzionati.

Quello che sta succedendo dall'inizio del 2016 infatti non deve essere sottovalutato nella sua natura sistemica così come nelle sue possibili conseguenze. Assomiglia a quello che è successo all'inizio della crisi globale nel 2007 e nella prima parte del 2008, anche se i suoi effetti si concentrano sul sistema bancario italiano. Condizioni macroeconomiche improvvisamente peggiorate in tutto il mondo hanno modificato il quadro in cui operavano diverse banche italiane. Lo shock si è concentrato sull'Italia perché la risoluzione di quattro piccole banche nel 2015 ha indirettamente contagiato le altre. Con l'entrata in vigore delle nuove normative a gennaio 2016 è diventato infatti chiaro che i costi di aggiustamento di un sistema carico di crediti problematici si sarebbero ingigantiti.

In un contesto così rischioso, bisognava considerare che anche se lo Stato garantisse l'intero gap di copertura delle sofferenze bancarie, l'Italia sarebbe uno dei Paesi che avrebbe meno aiutato le proprie banche dall'inizio della crisi. Meno della metà di Belgio e Spagna in rapporto al Pil, un quarto di Gran Bretagna, Francia e Germania, per non parlare di Olanda e Irlanda. La spiegazione del trattamento più rigoroso riservato agli aiuti di Stato dell'Italia è però che nuove regole sono entrate in vigore nel 2013 e nel 2016 e che le vecchie deroghe erano dovute a circostanze eccezionali che non avrebbero più ragione di esistere dopo sette anni. Come ha spiegato ieri Marco Onado, la recessione ha «colpito come una crisi biblica», ma il sistema ha retto tutto sommato bene a fronte di un crollo mai recuperato di dieci punti di Pil. È stato un errore procrastinare la pulizia delle banche, ma va considerata la fragilità del Paese negli anni passati in cui il mercato prevedeva un default sul debito sovrano. È stato un errore anche condurre accertamenti interminabili, fino a tre anni, su alcune banche per poi liquidarle a fine 2015 esponendo i rischi per gli obbligazionisti subordinati. Tutti gli errori del passato devono essere rimediati. Ma essere pragmatici significa cercare soluzioni prima che scompaiano anche quelle.

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