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Pensioni, perché abolire la legge Fornero sarebbe un delitto contro i giovani

Cosa sanno gli italiani della legge Fornero del 2011? Ecco un bigino. Le misure principali sono tre. Primo, l’equiparazione dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private e pubbliche. Secondo, la modifica dell'età effettiva per l'accesso alle pensioni di anzianità (ridenominate “anticipate” dalla Fornero): dal sistema di quote (età anagrafica + anni di contributi) si è passati a un numero minimo di anni di contributi, che è stato legato alla speranza di vita. Terzo, il passaggio al sistema contributivo puro per tutti.

Scopriamo quindi che il tanto odiato meccanismo che sposta in avanti l'età di pensionamento di vecchiaia all'aumentare della speranza di vita non è stato introdotto dalla legge Fornero, bensì, l'anno prima, dalla legge Sacconi. La riforma Fornero ha esteso questo meccanismo ai requisiti per la pensione anticipata. La genesi della riforma Fornero è nota: mettere in sicurezza il sistema previdenziale, limitandone la crescita della spesa, in un momento di forte crisi economica. L'obiettivo è stato raggiunto. Ma, a sentire alcune forze politiche, a costi altissimi. Esaminiamoli.

Le principali critiche riguardano il meccanismo di aggiustamento automatico che innalza l'età di pensionamento in funzione dell'aumento della speranza di vita. Oggi, l'età di pensionamento di vecchiaia è 66 anni e 7 mesi. Siamo diventati il Paese europeo con l'età di pensionamento più elevata? Decisamente no. Più della metà degli italiani lascia ancora il mercato del lavoro a 60 anni, usufruendo di pensioni anticipate che hanno, per di più, un importo medio di due volte e mezzo superiore a quello delle pensioni di vecchiaia. L'aggiustamento automatico, applicato all'età di pensionamento per le pensioni di vecchiaia e ai requisiti per le pensioni anticipate, non è certo popolare, ma risponde a una logica economica stringente. Se viviamo più a lungo, vorremo avere il diritto a avere una pensione anche durante i mesi in più che vivremo.

Ma lo Stato come dovrebbe finanziarla? Ci sono due semplici alternative, o lavoriamo un po' più a lungo per finanziarcela, oppure chiediamo agli altri - ai giovani - di pagarcela. Con l'aggiustamento automatico dell'età di pensionamento e dei requisiti si sceglie la prima alternativa. Eliminandolo, scegliamo di presentare il conto ai giovani. L'altra critica riguarda proprio i giovani: se tratteniamo i lavoratori anziani al lavoro non ci sarà posto per i giovani. Questa affermazione non ha riscontri empirici. Come ben sanno i direttori del personale, lavoratori giovani e anziani hanno competenze e livelli di istruzione molto diverse, che li portano spesso a svolgere lavori diversi. Ciò che tiene i giovani fuori dal mercato del lavoro non è la presenza dei lavoratori anziani, bensì l'elevato costo del lavoro, su cui incidono drammaticamente i contributi previdenziali necessari proprio a finanziare le generose pensioni anticipate. Certo, le riforme Sacconi e Fornero non sono state perfette. Alcuni aspetti sono perfettibili. Due su tutti.

Il sistema di pensionamento è troppo rigido. I lavoratori dovrebbero poter scegliere quando andare in pensione, tuttavia accettando la logica che chi lascia il lavoro prima riceve una pensione più bassa. L'Ape volontaria o la riforma proposta dall'Inps («non per cassa, ma per equità») vanno in questa direzione. Il meccanismo di aggiustamento automatico è troppo draconiano. Se viviamo 5 mesi in più perché dovremmo lavorarne altrettante in più? E infatti sarebbero sufficienti 3 o 4 mesi di lavoro in più per auto-finanziare il maggior periodo in pensione.

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Inoltre, l'aumento medio della speranza di vita maschera importanti differenze. Ad esempio, le persone maggiormente istruite o che fanno lavori meno usuranti vivono più a lungo. Dunque giusto chiedere soprattutto a loro di lavorare di più. Eliminare il meccanismo di aggiustamento e ridurre l'età di pensionamento - ovvero cancellare le riforme Sacconi e Fornero - è sicuramente possibile, se ci sarà la volontà politica. I costi per la finanza pubblica sono ingenti: 15-20 miliardi di euro all'anno. Ma forse l'aspetto più grave sta nell'impatto sull'equità intergenerazionale. Si continuerebbe a dare risorse alle generazioni anziane - ai sessantenni da mandare in pensione prima - togliendole ai giovani - a cui rimarrebbe da pagare il conto, in termini di maggiori contributi e minore occupazione. Insomma anche la “terza repubblica” partirebbe con una politica contro i giovani.

Università Bocconi di Milano

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