Italia

Nella partita sul Governo resiste il Def «europeista»

  • Abbonati
  • Accedi
CONTI PUBBLICI

Nella partita sul Governo resiste il Def «europeista»

Ancora una volta “europei”. Sono i tratti somatici che sembra proprio destinato ad avere il prossimo Documento di economia e finanza. Dalla partita che si sta giocando tra le forze politiche per aprire la strada alla nascita di una maggioranza parlamentare, e consentire al Capo dello Stato di affidare l’incarico per la formazione di un nuovo Governo, il Def per il 2019 e gli anni seguenti, che almeno per la parte a “legislazione vigente” potrebbe vedere la luce entro il 30 aprile, con il trascorrere dei giorni sembra avere molte possibilità di mantenere la sua fisionomia tradizionale: spinta alla crescita, attenzione al problema del debito e nessun volo pindarico sul deficit. Anche perché la Lega e Fdi sembrano essere rimasti i soli partiti ad avere la tentazione di imboccare la strada che porta all’aggiramento dei vincoli Ue.

Il M5S torna sui passi del “sentiero stretto”
Una strada che per Luigi Di Maio sembra sempre più assomigliare al sentiero stretto evocato a più riprese dal ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan, visto che il candidato premier dei Cinquestelle si è detto pronto a fermare all’1,5% del Pil nel 2019 l’asticella dell’indebitamento netto della Pa (di poco sotto all’1,6% fissato dal governo Gentiloni per quest'anno), nonostante il programma dei Pentastellati preveda un’accurata riflessione sulla possibilità di utilizzare nel 2019 “flessibilità aggiuntiva” per 10-15 miliardi soprattutto per dare la spinta agli investimenti. L’idea del Movimento Cinque Stelle era di restare abbondantemente sopra quota 2% avvicinandosi magari al 2,5% (comunque sotto il 3%). Ma prima lo stop arrivato dal commissario Ue, Pierre Moscovici, e poi la necessità di dare un segno tangibile della sua posizione europeista hanno indotto Di Maio a correggere la rotta e a non puntare secco su quella “flessibilità aggiuntiva” che sarebbe potuta rientrare anche nell’operazione per la neutralizzazione delle clausole Iva. Un altro segnale in chiave europeista è la volontà dei Pentastellati di ridurre il rapporto debito-Pil di 40 punti in 10 anni, seppure incidendo quasi esclusivamente sul denominatore con programmi di investimenti ad alto potenziale. E su questo le convergenze appaiono possibili, anche se in termini diversi, con il Pd e anche con Fi ma non automaticamente con la Lega.

Verso un Def in versione light

Berlusconi e Salvini divisi su deficit e pensioni
Quello dei conti pubblici è il terreno su cui le posizioni di Fi e Lega entrano chiaramente in conflitto. Silvio Berlusconi nelle scorse settimane ha subito plaudito all’altolà arrivato da Moscovici di fronte alla possibilità che i Cinquestelle decidessero di azionare con forza la leva del deficit. Non solo: Forza Italia ha sempre ripetuto di voler rispettare tutti gli impegni assunti dall’Italia sul versante della finanza pubblica pur ribadendo il “no” a rigide politiche europee di austerità (come indicato nel programma condiviso del Centrodestra) e puntando alla revisione dei trattati Ue. Fi conta di far crescere progressivamente l’avanzo primario fino al 3,8% in 3 anni (con una dinamica simile a quella indicata nell’ultima Nota di aggiornamento al Def targata Gentiloni) e di abbattere il debito anche grazie a un programma di privatizzazioni nell'ordine di almeno 50 miliardi in 5 anni. Dulcis in fundo le pensioni: per Forza Italia la legge Fornero va corretta ma non cancellata, a differenza di quello che chiede Salvini per il quale può anche essere sfondato, ma solo in caso di necessità, il tetto “ideale” del deficit 3 per cento (lo sfondamento comunque non è in agenda). Per la Lega, dunque, nessun vincolo rigido a un maggiore indebitamento della Pa (così come per Fratelli d'Italia), e compito di spingere la crescita quasi interamente affidato alla “flat tax”.

Per il Pd la strada della “continuità”
Per i democratici il problema di aggirare i vincoli Ue sul deficit non si pone, anche se il Pd resta favorevole all'individuazione di un percorso in sede europea che porti alla revisione dei trattati Ue anche sui conti pubblici. E che tenga conto dei “costi” sopportati dal nostro Paese per l’emergenza migranti. La rotta economica tracciata dal Pd è in continuità con quella seguita dai governi Renzi e Gentiloni e prevede la stabilizzazione di crescita e avanzo primario, che grazie a un'inflazione al 2% e a una spesa per interessi stabile dovrebbe portare il debito al 121% del Pil nei prossimi tre anni.

Il Mef già pronto per il “tendenziale”
Il Def è in fase di gestazione già da diverse settimane almeno per la parte a legislazione vigente, in attesa che a fissare i nuovi obiettivi programmatici sia il nuovo governo. Tra il 2015 e il 2017 la Ue ha autorizzato il nostro Paese a utilizzare spazi di flessibilità per circa 20 miliardi, ai quali si sono aggiunti quasi 11 miliardi di maggior deficit previsti dall'ultima legge di bilancio. In tutto oltre 30 miliardi. La parte a legislazione vigente riporterà solo i dati essenziali, lascerà intendere, grafici alla mano, l’impossibilità di smontare la riforma delle pensioni targata Fornero, i cui effetti sono già inglobati nel “tendenziale” così come le clausole di salvaguardia fiscali (in primis gli aumenti dell'Iva) per il prossimo anno e per il 2020. A questo proposito si ricorderà che negli ultimi anni le “clausole” sono state sempre totalmente sterilizzate.

Anche in assenza degli obiettivi programmatici sarà di fatto confermata l’impostazione del “sentiero stretto”, e le recenti dichiarazioni di Di Maio potrebbero avere anche l’effetto di un aprezzamento negli ambienti del Mef. Resta aperta la questione della data del varo. Al ministro Pier Carlo Padoan non dispiacerebbe, malgrado la “finestra” aperta da Bruxelles, presentare il quadro a legislazione invariata entro il 30 aprile, scadenza convenzionale per l’invio del Documento alla commissione Ue. E questo resta il termine di riferimento anche dopo la decisione del premier Paolo Gentiloni di posticipare, per garbo istituzionale, di un paio di settimane il “varo” del Def formato “mini”. Ma se i tempi per la formazione del governo non si dovessero rivelare troppo lunghi, il “dossier” passerebbe interamente nella mani del nuovo esecutivo con la possibilità di rinviare ulteriormente la presentazione ai primi di maggio, sempre con il beneplacito di Bruxelles.

Clausole Iva, coperture e debito convitati di pietra
Restano tre convitati di pietra nella definizione del Documento. Il primo è rappresentato dalla neutralizzazione delle clausole Iva. Il secondo è l'individuazione delle coperture per dare le gambe ad almeno una parte delle promesse fatte in campagna elettorale, come ad esempio la riforma della legge Fornero sulle pensioni o il rafforzamento del reddito d'inclusione (già introdotto dai governi a guida Pd) per avvicinarlo il più possibile al reddito di cittadinanza, caro ai Cinquestelle. Il terzo convitato di pietra è la necessità di dare una spinta decisiva al processo di riduzione del debito. Per sterilizzare gli aumenti dell’Iva occorrerà recuperare quasi 12,5 miliardi nel 2019 e oltre 19,1 miliardi nel 2010. Nel caso dei “tagli” quasi tutti i partiti, dal M5S a Fi, passando per la Lega, puntano a intervento massiccio di spending review (30-40 miliardi a regime) che sarà però in gran parte assorbiti dalla sterilizzazione delle clausole fiscali e che, alla luce delle proporzioni annunciate, se non tarato con attenzione rischia di avere anche ricadute recessive e di frenare la corsa del Pil. Va ricordato che da avviare il processo di revisione della spesa, seppure con risultati altalenanti, sono stati negli ultimi anni i governi a guida Pd. Sul fronte del debito c'è da fare i conti anche con il nodo-privatizzazioni.

© Riproduzione riservata