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il futuro dell’audiovisivo

Di Maio vuole la Netflix italiana ma ne esistono già 5 (e il problema è il mercato)

Digitale terrestre e satellite? Rai e Mediaset? Lottizzazione? Scansateve: il futuro dell’audiovisivo è nella rete e soprattutto nella «Netflix italiana» che dovrà nascere, «un volano importante per far conoscere il nostro stile di vita e per far ripartire la nostra industria culturale». Lo dice Luigi Di Maio, vicepremier con deleghe molteplici tra cui quella alle Tlc. Tutto giusto, per carità, ma con un paio di distinguo. Uno: non esiste una Netflix italiana, ne esistono almeno cinque. Due: le possibilità che queste o altre piattaforme di streaming arrivino a impensierire la Netflix vera e propria sono piuttosto ridotte. E vediamo perché.

Che cosa ha detto Di Maio
Ricapitolando: sul blog del Movimento 5 Stelle, Di Maio ieri ha scritto che per Rai e Mediaset «sarà fondamentale riuscire a rinnovarsi con nuove persone e nuove idee, e inserendosi in una logica completamente diversa da quella seguita fino ad oggi. In Rai deve iniziare a trionfare il merito e a entrare aria nuova. Il primo passo è la fine della lottizzazione e la pretesa di avere editori». Della serie, rimbocchiamoci le maniche e facciamo nascere una Netflix italiana: «Come ministro dello Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni, dico che è tempo che in Italia si inizi ad anticipare il futuro e a fare investimenti che vanno nell’ottica delle nuove tecnologie e non di quelle vecchie. È fondamentale il 5G ad esempio, la banda larga, ma è anche fondamentale incentivare la fornitura di quei servizi che possono essere di supporto alle piattaforme di oggi e nel medio e lungo periodo investire in nuovi modelli di business e nuove tecnologie per sviluppare a casa nostra le piattaforme del futuro». Se avremo o meno una Netflix italiana dipenderà «dagli investimenti che facciamo oggi. Penso a dare un’opportunità alle giovani imprese che si occupano della creazione di nuovi format e di contenuti multimediali, a quelle che realizzano applicazioni in questo settore, a quelle che inventano da zero nuove tecnologie. In definitiva a stimolare creatività e competenze tecnologiche in questi ambiti».

Le cinque Netflix italiane
Ma siamo poi tanto sicuri che non esista una Netflix italiana? Da un giretto rapido su Google, indiscusso oracolo pentastellato, apprendiamo che i portali che fanno un po’ lo stesso mestiere di Netflix qui da noi abbondano. E non da un giorno. Due sono legati a network televisivi nel senso più o meno tradizionale del termine: dal 2016 c’è Rai Play di proprietà di Mamma Rai e dal 2013 c’è Infinity Tv del gruppo Mediaset. Anche Sky - e dal 2012 - ha la sua piattaforma di streaming: si chiama Now Tv, produce contenuti originali come fa Netflix ma la terremo fuori dal ragionamento, perché espressione di un gruppo multinazionale. C’è poi un portale di streaming on demand di proprietà di un gestore delle Tlc: è Timvision, esiste dal dicembre 2009 (prima si chiamava Cubovision), appartiene a Tim e ultimamente si sta concentrando sempre di più su contenuti originali ed esclusive. Dal 2012 c’è Chili Tv, progetto nato da una costola di Fastweb che vanta un capitale sociale di tutto rispetto con azionisti del calibro del fondo Torino Investimenti 1895 della famiglia Lavazza, la Antares di Stefano Romiti e le major Warner, Viacom e 2oth Century Fox. E per i palati più raffinati esiste addirittura The Film Club, portale creato dal produttore Gianluca Curti di Minerva Pictures specializzato in film d’autore e cinema cult.

Le dimensioni contano
Il tema, insomma, non è tanto far nascere una Netflix italiana, quanto piuttosto rendere competitive quelle esistenti. E qui viene il bello, perché la proverbiale Roma non fu costruita in un giorno: Netflix è un colosso da 11,6 miliardi di dollari di fatturato, nato 20 anni fa, quando il business di riferimento era il noleggio a distanza di Dvd, e con davanti un mercato che si chiama mondo. Perché il bacino di pubblico di riferimento è quello di lingua inglese, sconfinatamente più ampio e redditizio di quello di lingua italiana. Competere nella guerra dei contenuti, in questa fase, non è semplice per nessuno: negli Stati Uniti imperversano merger e acquisizioni, tra At&t e Time Warner che si fondono e l’asta per 21st Century Fox con Disney e Comcast a sfidarsi. Per citare il celebre claim del film Godzilla: le dimensioni contano. Per un settore nel quale anche le major, ogni giorno che passa, si sentono piccole, evocare la nascita di una società italiana che tenga testa a Netflix equivale a sognare un competitor tricolore di Apple e Google. Una sfida mica da ridere. Con l’aggravante che qui si parla anche del futuro del cinema, quella che, secondo Michel Gondry, è L’arte del sogno. Sognare, più o meno da sempre, è gratis. Come la mezzora quotidiana di internet che il governo grigioverde garantirà a tutti.

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