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Dopo Genova: il consenso, la spesa pubblica e le leve dell’economia

I  tecnici ispezionano i resti del ponte Morandi di Genova. (Ansa/Luca Zennaro)
I tecnici ispezionano i resti del ponte Morandi di Genova. (Ansa/Luca Zennaro)

Garantire la sicurezza è compito primario dello Stato: a Genova è venuto meno. Il governo deve ricercare le cause, per rimuoverle ed evitare che simili disastri possano ancora accadere, magari altrove.

Deve accertare le responsabilità e sanzionare le colpe; deve esigere la ristorazione dei danni provocati. Deve farlo rapidamente e credibilmente, perché a Genova è venuta meno la fiducia nello Stato, e già questo è un danno per il Paese.

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La componente pentastellata del Governo, con l’istinto politico che tutti le riconoscono, ha preso il controllo delle operazioni, esasperando i toni, anteponendo a tutto l’individuare il colpevole con un giudizio sommario, a cui comminare una punizione esemplare. Si è così intestato un tema di forte impatto, utile a controbilanciare in qualche modo quello dell’immigrazione con cui il suo partner di governo aveva occupato tanta parte della scena per tanti mesi. “Sciacallaggio” è una parola eccessivamente pesante: ma che questo modo di affrontare il problema sia il migliore per assolvere ai compiti dello Stato in situazioni del genere è, a essere generosi, dubbio; mentre è certo che così facendo il Movimento ha aumentato il proprio consenso.

Il passo successivo è allargare l’area di consenso e rendere normali e generali gli interventi eccezionali. Quanto al primo obbiettivo, la polemica contro le privatizzazioni, la denuncia dei rapporti collusivi tra potere politico e potentati economici, trova sostenitori e simpatizzanti in un elettorato anche fuori dall’area pentastellata.

Quanto al secondo, Giancarlo Giorgetti fa sapere che è intenzione del Governo non fermarsi ad analizzare la sola concessione ad Atlantia, ma di volerle “rivedere” tutte, in un perimetro molto ampio, dai telefonini alle tv, dalle acque minerali all’idroelettrico, ipotizzando anche la possibilità di gestione diretta. Il disastro di Genova consentirebbe così di aprire un fronte di vastità gigantesca, con migliaia (35mila secondo Giuseppe Latour e Manuela Perrone, sul Sole24Ore del 22 agosto) di situazioni in cui intervenire, assumendo il controllo o assegnandolo negoziandone le condizioni.

Tutti i Governi cercano di avere le mani sulle leve del potere economico. Le hanno avute, in modo sistematico e in misura maggiore di ogni Paese dell’Occidente, i governi della Prima Repubblica. Dopo la breve, ma straordinaria parentesi dell’ultimo decennio del secolo scorso, in cui lo Stato si ritrasse dalla gestione diretta dell’economia, anche il governo Renzi non esitò a cogliere situazioni di crisi, vere o presunte, per intervenire, usando vuoi Cdp vuoi aziende di Stato. Le pulsioni interventiste dell’attuale Governo erano palesi prima delle elezioni e sono state confermate dopo: valga per tutte la vicenda delle nomine in Cdp.

Ciò che colpisce è l’immediatezza con cui la tragedia di Genova ha funzionato da acceleratore. Chi dovrà succedere ad Atlantia? Anas, così oltretutto l’ingente gettito dei pedaggi consentirà a Ferrovie di aumentare i propri investimenti a debito. Ricostruire il ponte in ferro? A gestire l’operazione ci sono Fincantieri con le sue capacità tecniche e Cdp con quelle finanziarie. Regioni del nord premono per la “regionalizzazione” delle Autostrade. Paolo Savona, per non essere da meno, vuole che Eni, Enel, Terna, Finmeccanica facciano partire nel 2019 investimenti aggiuntivi rispetto a quelli già previsti: che siano aziende quotate, in maggioranza nei portafogli di privati che potrebbero avere idee diverse sulle strategie migliori per i loro investimenti, è per il ministro un dettaglio trascurabile. Si aggiunga la revisione delle concessioni, e siamo al programma di una vera e propria occupazione di una parte importante dell’economia. E questo è essenziale per mettere in atto una politica della spesa, perché consente di determinare e controllare le strategie delle imprese, i loro investimenti, assunzioni, acquisti.

I governi populisti godono normalmente di una fase iniziale positiva: aumentano le spese pubbliche e questo fa aumentare Pil e occupazione. L’abbiamo visto in America Latina degli anni 80, nella Turchia di Erdogan nei primi anni del suo governo; perfino la Germania nei primi anni di Hitler sconfisse la disoccupazione ed ebbe una forte ripresa economica. Cogliere questa fase positiva è quello che vorrebbe fare il Governo, ma per questo ha bisogno di spendere, e per spendere ha bisogno di controllare l’economia. Certo il nostro gigantesco debito limita la nostra possibilità di spendere. Ma, usando molta intelligenza, si potrebbe farlo con l’accordo di Bruxelles: se inizialmente le grandi riforme – flat tax a reddito di cittadinanza – si facessero a costo zero, cioè tagliando le spese fiscali, se ci si presentasse con un deficit accettabile e con un grande piano pluriennale di investimenti, potrebbe passare.

Se non riesce, succede l’incidente: secondo alcuni, è quello che cercano. Piani B, emissione di minibot, sovranità della moneta per poter svalutare: che ai dissennati modi per uscire dall’euro si sia messo il silenziatore non significa che essi siano stati definitivamente e convintamente abbandonati. Comunque, poter spendere è necessario in entrambi i casi.

Ovvio che poi arriva il conto da pagare, di solito sotto la forma di inflazione, e che a pagarlo sono i cittadini. In questo senso, Genova sarà stata una doppia tragedia, per chi ha perso la vita, e per quello che perderà il Paese.

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