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Italia verso l’infrazione per debito

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Editoriale |le mosse di bruxelles

Italia verso l’infrazione per debito

Le decisioni che il governo italiano prenderà, rispondendo alle osservazioni della Commissione europea sul bilancio pubblico, non condizioneranno solo i prossimi mesi, ma l’intera legislatura e, in caso di voto anticipato, anche buona parte della legislatura successiva. Come anticipato su queste colonne l’11 ottobre, la Commissione europea sta considerando di contestare all’Italia la violazione della “regola del debito”, anziché di quella del deficit. La differenza è che nel primo caso è necessaria una correzione del bilancio pubblico che potrebbe durare diversi anni, forse cinque, durante il quale la politica economica del paese e i piani di riforma strutturale sarebbero sottoposti a vigilanza europea trimestrale.

Sarebbe certamente un esito politicamente critico per un governo che ha fatto della retorica sovranista il proprio baricentro elettorale.

Nel corso dell’ultima riunione dell'Eurogruppo il tono del dialogo da parte delle istituzioni europee è stato definito «molto costruttivo» e a Bruxelles si spera ancora che il governo italiano modifichi in extremis la proposta di bilancio, ma se questo non avverrà entro domani sarà molto difficile non aprire una procedura di infrazione. Sarebbe sufficiente, spiegano a Bruxelles, che il governo dimostri un approccio cooperativo abbracciando lo spirito delle regole che richiedono un profilo discendente del rapporto debito-Pil, ma i segnali che sono arrivati da Roma non sono stati di questo tipo e spesso hanno avuto carattere apertamente conflittuale.

Il problema è che il tipo di procedura a cui deve ricorrere la Commissione, in base alla situazione fiscale italiana, non sarà quella consueta in caso di un disavanzo annuale di bilancio superiore al 3% e che per essere revocata richiede in fondo solo una limitata correzione del deficit nell'anno successivo. La procedura nei confronti dell'Italia sarebbe invece «per deficit eccessivo in relazione alla violazione della regola del debito». Questa seconda procedura, mai applicata finora ad alcun paese, rimane in vigore finché il debito non sia stato messo su una traiettoria discendente. Di conseguenza prevede un impegno alla disciplina fiscale che può durare anche molti anni, durante i quali il governo è sottoposto a vigilanza e deve dimostrare l’effettiva riduzione del rapporto debito-Pil attraverso un prolungato sforzo di aggiustamento fiscale durante il quale non può beneficiare dei margini di flessibilità di cui ha fatto ampio uso in passato.

La Commissione fa trapelare una disponibilità a disegnare insieme al governo il percorso migliore per aderire quanto meno allo spirito delle regole fiscali europee, pur sapendo che più limitato è l’aggiustamento dei disavanzi annuali e più protratto negli anni deve essere lo sforzo di convergenza. La disponibilità di Bruxelles viene affermata sia nel caso di apertura di una procedura, sia nel caso che si trovi un accordo entro lunedì sera. I rischi di un mancato accordo per l’Italia sono anche legati al fatto che difficilmente la prossima Commissione europea, in carica tra un anno, avrà uno spirito cooperativo maggiore di quella attuale. Anche nei Consiglio europeo (capi di Stato e di governo) le posizioni poco solidali rischiano di essere più forti dopo il voto europeo di maggio 2019.

Nelle previsioni economiche pubblicate giovedì scorso, la Commissione ha stimato un disavanzo italiano del 2,9% nel 2019 e del 3,1% nel 2020, assumendo una stima della crescita economica dell’1,2% nel 2019. Si tratta di una stima generosa rispetto a quelle di altre istituzioni indipendenti, anche perché effettuata prima degli ultimi dati negativi. Se, come sembra possibile, la crescita zero del terzo trimestre si ripeterà anche nel quarto, o addirittura diventerà negativa a fine anno, il disavanzo italiano sforerà subito anche la soglia del 3%. A quel punto, all’Italia mancherà ogni margine fiscale, cioè ogni possibilità di ulteriore spesa pubblica, per contrastare una debolezza dell'economia che – unico paese dell'euro-area - si sta già ripercuotendo sui livelli di occupazione.

La regola del debito esiste fin dall’approvazione del Patto di stabilità e crescita nel 1997, ma è stata modificata negli anni per rendere più precisa la definizione di una riduzione del debito verso la soglia del 60%. Attualmente sono in vigore tre regole. La prima è quella del 60% da non superare. La seconda, nel caso il debito sia sopra al 60%, di riduzione soddisfacente (5% medio della quota di debito eccedente la soglia del 60%) che va valutato o sugli ultimi tre anni o su quello in corso e i due successivi. L'Italia finora ha violato entrambe queste regole, ma ne ha rispettata con molta fatica una terza: l’avvicinamento all’«obiettivo di medio termine», cioè una graduale riduzione del deficit strutturale verso il pareggio di bilancio (che porterebbe a ridurre anche il debito). Il governo attuale ha invece dichiarato di voler violare anche questa terza regola.

La deviazione è sia nei fatti – il deficit strutturale aumenta dello 0,8% anziché calare dello 0,6 – sia nello spirito. Nel giugno e luglio scorso, infatti, il governo attuale si era impegnato a ridurre il deficit strutturale e aveva in tal modo evitato che la Commissione aprisse subito una procedura per violazioni della regola del debito avvenute negli anni precedenti. Durante l’estate, il negoziato informale tra Roma e Bruxelles aveva individuato in un aggiustamento minimo del deficit strutturale (prima lo 0,3%, poi di solo lo 0,1% del Pil) per evitare una troppo scoperta violazione che avrebbe fatto perdere credibilità alle regole comuni. A ottobre invece, con la bozza di bilancio e la previsione di un deficit al 2,4%, il governo italiano non ha mantenuto l'impegno sottoscritto dal presidente del Consiglio prima al Consiglio europeo di giugno e poi al Consiglio Ue di luglio.

Le reazioni finanziarie a una contestazione di infrazione del debito da parte di Bruxelles potrebbero essere meno negative di quanto si tema. Infatti, una procedura “lunga” e una prospettiva di riduzione del debito pubblico potrebbero dare un quadro di inedita stabilità alla politica economica italiana. Ma le reazioni politiche sono molto più difficili da prevedere.

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