Se il governo italiano insisterà a difendere la sua proposta di bilancio, quali saranno le conseguenze per la collocazione italiana nell'Unione europea? Finora, le scelte di politica di bilancio del governo italiano sono state discusse per le loro conseguenze sull'economia e la politica del nostro Paese. Si è rilevato come le autorità europee potranno difficilmente accettare una politica di bilancio che contraddice clamorosamente gli obiettivi di riduzione del deficit nominale e di contenimento del debito pubblico.
Venerdì 16 novembre, per di più, il presidente della Banca centrale europea ha ricordato come sia indispensabile che Paesi ad alto debito agiscano in fretta per rendere quest’ultimo sostenibile, prima che arrivi una nuova crisi finanziaria.
Al Consiglio dei ministri finanziari dell'Eurozona, la richiesta di una revisione della nostra proposta di bilancio verrà reiterata. Poiché il nostro governo ha dichiarato che non l’accoglierà, la Commissione dovrà prima o poi avviare una procedura d’infrazione nei nostri confronti, proprio per garantire gli altri Paesi dell’Eurozona. In questo dibattito, tuttavia, è sfuggito l’altro versante del problema. Ovvero cosa succederà in Europa, se il nostro governo insisterà nella sua intransigenza?
Contrariamente a ciò che hanno sostenuto i leader del nostro governo (e cioè che l’Italia è “troppo grande” per essere abbandonata), è probabile che l’esito sarà esattamente l’opposto. Infatti, la marginalizzazione dell’Italia dall’Eurozona rafforzerebbe, e non già indebolirebbe, quest’ultima. Vediamo perché.
Il conflitto tra il governo italiano e le istituzioni europee ha messo in luce la coesione dei 18 Paesi che (insieme a noi) costituiscono l’Eurozona. La proposta di bilancio dell’Italia non ha avuto il sostegno di nessuno (ripeto: nessuno) degli altri 18 governi nazionali. È la prima volta che succede. Nel passato, vi sono stati ripetuti casi di governi nazionali che hanno deviato dal rispetto delle regole stabilite in comune. Nel 2003, Germania e Francia presentarono una proposta di bilancio che, per ragioni diverse, non rispettava esplicitamente il vincolo del deficit. La Commissione raccomandò di sanzionare i due Paesi, ma la sua raccomandazione fu rifiutata da un numero sufficiente di governi nazionali. In quel caso, e in altri casi successivi, le ragioni della deviazione dai parametri, da parte di un governo nazionale, furono condivise da altri governi nazionali. Con l’esito di creare, all’interno dell’Eurozona, una geometria variabile di alleanze o convergenze. Nel caso della deviazione dai parametri proposta dal governo italiano, nulla di ciò è avvenuto. Gli altri 18 governi nazionali ritengono quella deviazione ingiustificabile (in quanto non motivata sul piano economico) oltre che pericolosa (in quanto trasmette instabilità all’intera Eurozona). Non c’è alcun complotto di tecnocrazie europee o di poteri forti contro di noi. C’è il semplice rifiuto, da parte dei 18 Paesi che condividono la moneta comune con noi, di farsi carico delle conseguenze delle nostre scelte. Diciamolo con chiarezza: il paradigma che ha istituzionalizzato l’azzardo morale tra le regioni italiane non è trasferibile a livello europeo.
Dunque, l’Italia viene percepita sempre di più come un outlier (un attore ai margini) nel sistema dell’Eurozona. Eppure, all’interno di quest’ultima, vi sono governi nazionali espressione di opzioni politiche e ideologiche molto vicine a quelle del governo italiano. Paradossalmente, sono stati proprio i leader di quei governi a sostenere la posizione più rigida nei nostri confronti (si pensi all’austriaco Sebastian Kurz, all’olandese Mark Rutte o al finlandese Juha Petri Sipilä). La traiettoria eccentrica perseguita dal governo italiano, insieme al caos generato dalle scelte britanniche di uscire dall’Ue, stanno compattando l’Eurozona (come non avveniva da tempo). Così, con le sue scelte intransigenti e irresponsabili, il governo italiano sta contribuendo a risolvere la paralisi interna a quest’ultima. Una paralisi dovuta anche al nostro debito pubblico. Con l’Italia in un limbo, i 18 Paesi stanno già operando per ridurre gli effetti di una sua futura implosione. Certamente, all’interno di una comune condivisione delle regole, quei 18 governi perseguono strategie diverse di organizzazione dell’Eurozona. La Germania e la Francia (dopo l’incontro dell’altro ieri tra i loro ministri delle Finanze) propongono di creare un bilancio distinto, da usare in funzione anti-ciclica (per fare crescere gli investimenti o per far diminuire la disoccupazione). I Paesi del nord Europa (la cosiddetta “coalizione anseatica”) preferiscono invece preservare gli attuali equilibri intergovernativi. Se l’Italia si auto-escluderà dall’Eurozona, quest’ultima potrà accelerare la conclusione dell’unione bancaria, dando vita al terzo e mancante pilastro della assicurazione sui depositi. Comunque si concluda il confronto all’interno dell’Eurozona, l’auto-isolamento dell’Italia consentirà a quest’ultima di andare verso una maggiore integrazione. Chi pensa che l’Ue non potrà fare nulla senza di noi, ha fatto i conti senza l’oste.
In un Rapporto del settembre scorso dell’Istituto Bruegel di Bruxelles, cinque economisti hanno messo in luce la trasformazione dell’Ue verso un sistema di “club”. Intorno a una “ossatura” comune, è plausibile che si formino clubs diversi, il più integrato e solido dei quali è quello dell’Eurozona. Mi domando: la nostra auto-esclusione da quest’ultimo club, come vorrebbe il governo italiano, per entrare in clubs più incerti e con compagni spesso opportunisti, corrisponde anche alla volontà e agli interessi del Paese?
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