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Limiti dei sovranisti, debolezze dell’Europa

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L'Analisi |verso le europee

Limiti dei sovranisti, debolezze dell’Europa

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

C’è un grande movimento in Europa. Le elezioni per il Parlamento europeo sono contrassegnate dalla vociferante presenza dei partiti sovranisti. Essi rappresentano la nuova opposizione all’interno dell'Unione europea (Ue). Il loro perno è costituito di forze politiche radicate nei maggiori Paesi di quest’ultima. In quelle elezioni, probabilmente, la Lega di Matteo Salvini sarà il primo partito nazionale, il Rassemblement National di Marine Le Pen il secondo partito nazionale, l’Alternative für Deutschland di Jörg Meuthen e Alexander Gauland il terzo partito nazionale.

Questi partiti, che già si coordinano tra di loro, sono impegnati ad allargare l’area sovranista, alleandosi sia con altri partiti nazionalisti-conservatori (come il partito polacco di governo, il Prawo i Sprawiedliwość, di Jarosław Kaczyński) che con forze politiche interne agli stessi raggruppamenti europeisti (come il partito ungherese di governo, il Fidesz, di Viktor Orban). Vale dunque la pena di capire quali siano le basi economiche e politiche dell’opposizione sovranista e quindi le implicazioni istituzionali della sua affermazione.

Cominciamo dalle basi economiche. I sovranisti ritengono che l’Ue sia lo strumento usato da grandi lobbies economiche e finanziarie per espropriare la sovranità degli Stati nazionali. Attraverso quella sovranità, nel passato, gli Stati nazionali avevano potuto controllare l’economia nazionale, rendendola funzionale al raggiungimento di obiettivi di interesse nazionale. Oggi questo non è più possibile.

I sovranisti criticano l’integrazione perché la considera uno strumento per neutralizzare la capacità protettiva degli Stati. Ecco perché si oppongono all’apertura dei mercati (e alla logica competitiva che ne consegue).

Il sovranismo è statalista piuttosto che anti-mercatista. Per i sovranisti, la polarizzazione sociale, che contrappone gli “avvantaggiati” e gli “svantaggiati” dell’apertura economica, costituisce l’evidenza della debolezza protettiva dello Stato. E su tale polarizzazione che si basa la mobilitazione sovranista. Una recente ricerca condotta da Catherine E. de Vries e Isabel Hoffman mostra come vi sia una correlazione tra svantaggio sociale e influenza sovranista. I sovranisti sono (molto) forti in Italia dove il 65% degli intervistati è preoccupato per “lo stato della società”; sono (un po’ meno) forti in Francia dove il 51% è preoccupato per “lo stato della società”; sono (ancora meno forti) in Germania dove solamente il 38% è preoccupato per “lo stato della società”. Per ovviare allo svantaggio, il sovranismo propone di ridurre l’integrazione economica, di rimpatriare competenze, di restituire agli Stati il controllo (se non la proprietà) di attività industriali e finanziarie. In poche parole, propone il protezionismo statale.

Consideriamo ora le basi politiche del sovranismo. Il ritorno alle sovranità nazionali è giustificato dalla necessità di restituire ai “popoli” la loro sovranità perduta. Per i sovranisti, l’Ue celebra il cittadino astratto ma non la sua comunità concreta. L’Ue viene vista come un progetto cosmopolita fatto di individui “che stanno da nessuna parte (nowhere)”, mentre il popolo è fatto di gente che “sta da qualche parte (somewhere)”. Di qui, il rifiuto radicale dell’immigrazione. Quest’ultima viene vista come una sfida alla identità culturale, etnica e perfino religiosa di un popolo. Per i sovranisti, ogni popolo ha la sua storia, anche costituzionale.

Tant’è che essi si oppongono a processi di democratizzazione politica e giuridica che, secondo loro, non sono coerenti con quella storia. A Budapest o a Varsavia, in nome della difesa delle tradizioni costituzionali nazionali, viene ridimensionata l’indipendenza del potere giudiziario o l’autonomia del sistema dei media dal potere politico. La teoria del pluralismo costituzionale (che celebrava il riconoscimento delle specificità costituzionali nazionali) viene così usata come l’alibi per disconoscere il rispetto dei basilari valori costituzionali (in nome di presunte specificità nazionali).È abbastanza inevitabile che il populismo sovranista porti ad una riduzione delle libertà individuali e al ridimensionamento dei poteri neutrali e indipendenti che impediscono ad una maggioranza di diventare tirannica. In poche parole, difende la democrazia illiberale.

L’affermazione di un’opposizione sovranista ha anche implicazioni istituzionali. La nuova divisione tra europeisti e sovranisti mette in discussione la logica dello spitzenkandidat, adottata dai maggiori partiti europeisti (già nel 2014), il cui scopo era quello di istituzionalizzare (pure nell’Ue) la divisione tra la sinistra e la destra (propria degli Stati nazionali). Infatti, se si segue il dibattito in corso tra gli spitzenkandidaten dei partiti europeisti (popolari, socialisti, liberali e verdi), si vede che le differenze tra di loro sono minime, mentre massime sono le differenze tra tutti loro (messi insieme) e i leader dei partiti sovranisti. Se questi ultimi costituiscono oggi l’opposizione ai partiti europeisti, nulla preclude che domani possano diventare la maggioranza, come prevede il governo parlamentare auspicato dalla strategia dello spitzenkandidat. Mi domando, come funzionerebbe l’Ue con un governo parlamentare sovranista? Per non parlare poi della proposta di elezione diretta del presidente della Commissione (avanzata dagli europeisti di sinistra). Pensata per democratizzare l’Ue, non finirebbe, se implementata, per produrre un esito esattamente contrario?

Insomma, se si vuole contrastare il sovranismo, occorre rivedere molte idee ingenue dell’europeismo. È vero che il protezionismo ci renderebbe tutti più poveri, ma è anche vero che l’apertura dei mercati deve essere governata per prevenire la polarizzazione sociale. È vero che il populismo ci renderebbe tutti meno liberi, ma è anche vero che le identità nazionali debbono essere riconosciute. È vero che l’Ue deve essere democratizzata, ma non si può farlo pensando di ripetere l’esperienza degli Stati nazionali. È ora di abbandonare gli ormeggi dell’inerzia culturale e politica.

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