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Papa: «Il sovranismo produce razzismo e antisemitismo»

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il discorso

Papa: «Il sovranismo produce razzismo e antisemitismo»

Le parole di Francesco pronunciate nell'immensa Sala Clementina sono taglienti come lame: la «eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati» quando degenera in un «nazionalismo conflittuale», produce «razzismo o antisemitismo». Il Papa parla alla plenaria dell'Accademia Pontificia delle Scienze Sociali – da poco ha insediato alla guida l'economista bolognese Stefano Zamagni, uno degli ispiratori della Laudato Si', ma anche di altre encicliche – e torna a denunciare il riemergere di «correnti aggressive verso gli stranieri», spesso trattati con disumanità. Esprime poi preoccupazione per la «nuova stagione di confronto nucleare» che, cancellando i progressi del passato, «moltiplica il rischio di guerre» se non di un vero e proprio «olocausto nucleare».

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“Nazione, Stato, Stato Nazione” è il titolo della plenaria dell'Accademia, il think tank politico della Santa Sede. «Un tema di permanente attualità», osserva il Papa, di fronte a fenomeni che - dall’Europa all'America Latina - vedono gli Stati sempre più «asserviti agli interessi di un gruppo dominante» e opprimenti nei confronti delle minoranze etniche, linguistiche o religiose sul loro territorio.

Pace, clima, povertà, guerre, migrazioni: queste le sfide mondiali
Bergoglio cita San Tommaso, Aristotele e Simone Bolivar per criticare il fatto, ormai «sotto gli occhi» di tutti, che «alcuni Stati nazionali attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione. Va constatato che le frontiere degli Stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da un'eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune». Insomma, le sfide dell'umanità oggi sono molteplici e a carattere mondiale: «Lo sviluppo integrale, la pace, la cura della casa comune, il cambiamento climatico, la povertà, le guerre, le migrazioni, la tratta di persone, il traffico di organi, la tutela del bene comune, le nuove forme di schiavitù». Non si possono affrontarle divisi, ma uniti.

Bene l’attaccamento alla propria terra, ma mai esclusione e odio per gli altri
La Chiesa, infatti, «ha sempre esortato all'amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati nei popoli», ma, al contempo, «ha ammonito le persone, i popoli e i governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo», dice Francesco, che ribadisce l’angoscia per «il riemergere, un po' dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune».

«Il migrante non è una minaccia alla cultura e ai costumi di chi accoglie»
In questa ottica, afferma, «il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l'umanità». Perché «ogni persona umana è membro dell'umanità e ha la stessa dignità», e «quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità», spiega Francesco. «Il migrante non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve». Integrare che non vuol dire «assimilare», ma «condividere il genere di vita della sua nuova patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda biografica». In tal modo, il migrante potrà presentarsi ed essere riconosciuto come «un'opportunità per arricchire il popolo che lo integra». All'autorità pubblica spetta pertanto il compito di «proteggere i migranti e regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l'accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti».

Il riferimento ai sentimenti che produssero il nazismo
In definitiva: «Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione», sottolinea il Papa e, con chiaro riferimento ai sentimenti populisti che rappresentarono terreno fertile per l'ascesa del nazismo, aggiunge: «Sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni. Penso all'Europa del secolo scorso». «Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un'isola rispetto al contesto circostante», prosegue Francesco. E la globalizzazione - non solo economica ma anche degli scambi tecnologici e culturali - lo dimostra: «Lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio».

Il richiamo allo spirito di Simon Bolivar
È, perciò, da auspicare che non si perda in Europa la consapevolezza dei «benefici» apportati dal «cammino di avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra». Ma anche in America Latina, il Papa chiede che non vada perduto lo spirito della lotta di Simón Bolivar che «spinse i leader del suo tempo a forgiare il sogno di una Patria Grande, che sappia e possa accogliere, rispettare, abbracciare e sviluppare la ricchezza di ogni popolo. Questa visione cooperativa fra le nazioni - dice - può muovere la storia rilanciando il multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una politica egemonica».

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