“Finora”. “Cominciano”. (non) “Ritardare”. Ecco le tre parole chiave della relazione del Governatore della Banca d’Italia
Ignazio Visco all’assemblea annuale della banca centrale. È il fattore tempo, cioè la necessità di dare risposte non effimere
a un Paese a corto di crescita, che gioca un ruolo fondamentale in questa fase.
Nel giorno in cui (un po’ la stessa cosa accadde l’anno scorso) lo spread tra titoli di Stato italiani e tedeschi sale a quota
292 una ventina di minuti prima che Visco inizi a parlare, e mentre l’Istat rivede al ribasso le stime sul Pil, l’orologio
di Visco indica alcuni punti fermi. Il primo: “finora” la trasmissione del maggiore costo dei titoli pubblici a quello dei prestiti delle banche a imprese e famiglie è stata limitata
grazie all’ampia liquidità e alla migliore qualità dei bilanci bancari.
Tuttavia (secondo punto), “cominciano” ad emergere segnali di tensione, con l’offerta di credito che si va irrigidendo soprattutto per le piccole imprese a motivo della negativa evoluzione del
quadro macroeconomico. E rimanendo stringente (terzo punto) il vincolo dell’alto debito pubblico, per allentarlo non si può “ritardare” nel definire una strategia rigorosa e credibile per la sua riduzione a medio termine.
Insomma, questo livello di spread è indice di problemi seri, e anche la parola “ritardo” ricorre spesso nella relazione. Un’Italia che invecchia rapidamente e che ha reagito appunto
con “ritardo” alla rivoluzione tecnologica e all’apertura dei mercati globali. Un’Italia che non ha completato il percorso
di risanamento dei conti pubblici e che si accolla ora i rischi connessi all’elevata dipendenza dai mercati finanziari per
rifinanziare il debito. Un Paese che non può rispondere facendo più deficit (e debito) e che rischia una “espansione restrittiva”.
A governo e Parlamento, in questa delicatissima fase politica conseguente il voto delle elezioni europee che ha ribaltato
i rapporti di forza tra Mov5Stelle e Lega, il messaggio è agire con determinazione per rimettere il Paese sulla strada della crescita. Con meno sussidi e trasferimenti, un’ampia riforma fiscale (ma non una
flat tax in deficit) e non addossando all’Europa e all’euro colpe che non hanno, visto che la nostra bassa crescita degli
ultimi vent’anni si confronta con i risultati migliori di quasi tutti gli altri paesi.
Ciò vuol dire che l’Europa va bene così com’è? No, l’area dell’euro è «ferma in mezzo al guado del processo di riforma, frenata dalla crescita economica e rimane esposta a rischi finanziari». Il problema è che Visco vede per l’Italia la «responsabilità di contribuire a sbloccare la situazione e le capacità per partecipare in maniera costruttiva ai passaggi necessari a completare l’Unione economica e monetaria». Ma su questo orizzonte di ulteriore integrazione su tutti i mercati (finanziari, del lavoro, di beni e servizi) con «norme e istituti comuni» la convergenza con il governo gialloverde appare davvero difficile.
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