Cultura

Memorie di guerra, sentieri di pace

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24 maggio 1915

Memorie di guerra, sentieri di pace

Il 24 maggio 1915, quando l'Italia entra in guerra contro l'Austria e «il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti», in Europa si combatte (e si muore) da quasi un anno. Agli italiani la chiamata alle armi viene presentata come quarta guerra d'indipendenza contro l'Austria, per liberare “le terre irredente” (Trentino, Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia) dal dispotico impero asburgico. Abbandonata l'iniziale neutralità e denunciata la Triplice Alleanza, la nostra propaganda cercò di erigere un muro di odio fra i due popoli. Per converso, agli austriaci, l'Italia veniva additata come traditrice perché aveva violato i patti, facendo intendere che non sarebbe stato difficile sconfiggerla in breve tempo.

Il fronte orientale
All'inizio del mese di maggio era scattata una grande offensiva austriaca sul fronte orientale, in collaborazione con i tedeschi, per riconquistare la Galizia e inchiodare i russi lungo i Carpazi. Nell'ottica di Vienna l'operazione aveva anche lo scopo politico di dissuadere l'Italia dall'entrare in guerra a fianco dell'Intesa. In effetti, dopo tre giorni di feroci combattimenti e un numero enorme di morti e di feriti, austriaci e tedeschi sfondarono il fronte di Gorlice-Tarnow (due città non lontane da Cracovia), infliggendo una severa sconfitta alle truppe zariste.
In quella battaglia un elevato tributo di sangue venne versato anche dai soldati trentini di lingua italiana, arruolati nell'esercito austro-ungarico al momento dello scoppio delle ostilità nell'estate 1914 e per lo più trattenuti sul fronte orientale anche dopo l'entrata in guerra dell'Italia, perché Vienna temeva della loro “affidabilità” se fossero stati trasferiti sul fronte alpino.

Itinerari sui luoghi della guerra in Trentino
Se qualche lettore in estate passerà le vacanze sulle Dolomiti, potrà facilmente percorrere a piedi la “Strada di Rusci” costruita dai prigionieri di guerra russi nella Val San Nicolò, sopra Pozza di Fassa. Risalendo invece la contigua Val Monzoni si arriva al rifugio Taramelli (metri 2.040), oggi di proprietà Sat (la Società degli alpinisti tridentini, affiliata al Cai), utilizzato durante la guerra come comando militare austriaco e ospedale da campo.
Sull'altro versante della valle è stata recentemente ripristinata e messa in sicurezza la mulattiera italiana, che dal Passo di San Pellegrino porta al rifugio Passo delle Selle (metri 2.528). Da qui partono anche due sentieri attrezzati - “Bepi Zac” e “Bruno Federspiel” - che si snodano lungo le Creste di Costabella e i Monzoni e si possono considerare dei musei all'aperto della Grande Guerra: sono infatti visibili resti delle trincee, caverne, postazioni e fondamenta di baracche. Il vasto altipiano erboso che si estende tra il Passo di San Pellegrino e le Selle durante la guerra rimase “terra di nessuno”, con i soldati italiani sotto il tiro dalla sovrastante prima linea austriaca. Percorso oggi nella tarda primavera o in estate offre al passante una vera tavolozza di colori: dal rosa intenso dei rododendri al blu delle genziane, dal giallo-arancio dell'arnica montana al rosso scuro della nigritella.
Gli itinerari Cai-Sat 603 e 604 verso i rifugi Taramelli e il Passo delle Selle non presentano difficoltà tecniche e non richiedono equipaggiamento specifico: basta un po' di allenamento nelle camminate in montagna; le due alte vie “Bepi Zac” e “Bruno Federspiel” sono invece consigliate agli escursionisti esperti, con attrezzatura di autoassicurazione.

L'Italia dalla neutralità all'intervento
Nel 1914 l'Italia è alleata da più di trent'anni con la Germania e l'Austria-Ungheria nella Triplice Alleanza; le convenzioni militari segrete del trattato prevedono, in caso di conflitto, la presenza di un'armata italiana sul Reno a fianco dei tedeschi. Invece il governo italiano – da pochi mesi guidato da Antonio Salandra - proclama la neutralità e blocca ogni spostamento di truppe verso la Francia.
L'atteggiamento elusivo e ambiguo di Vienna verso Roma sulle possibili “compensazioni” territoriali (il Trentino, ma non solo) suscita a Berlino crescente apprensione. Anche la missione a Roma nel dicembre 1914 dell'ex cancelliere tedesco Bernhard von Bülow, amico personale di Giovanni Giolitti, ritenuto lo statista italiano più influente, non ottiene però gli effetti sperati. I contatti tra Italia e Austria entrano in un circolo vizioso e la tattica del ministro degli Esteri Sydney Sonnino è quella di alzare il prezzo della nostra neutralità per creare l'occasione dello strappo definitivo. Giolitti resiste fino all'ultimo alla rottura della Triplice Alleanza, che non esita a definire un “tradimento”, salvo poi allinearsi lealmente con il paese in guerra.

“Il maggio radioso”: un colpo di stato?
In quello che fu poi definito “il radioso maggio” la minoranza interventista, con manifestazioni anche violente, spazzò via l'opposizione neutralista giungendo a minacciare il Parlamento e a determinarne un rapido voltafaccia, che si tradusse nel consenso al governo e alla guerra. Il libro «Radioso maggio» di Antonio Varsori, da poco pubblicato dal Mulino, racconta in maniera puntuale gli eventi che vanno dalla firma del patto di Londra (26 aprile 1915) all'entrata in guerra dell'Italia (24 maggio).
Secondo diversi studiosi, in queste poche settimane si è consumato in Italia un grave “vulnus” istituzionale nei principi dello Stato liberale, quasi un'anticipazione dell'ottobre 1922 con l'avvento al potere del fascismo. «Salandra - scrive Varsori - fu abile nello sfruttare al momento opportuno il movimento interventista e fu fortunato nel trovare una personalità come D'Annunzio, in grado di raccogliere intorno a sé migliaia di sostenitori della guerra e di galvanizzarli spingendoli a quelle manifestazioni che, soprattutto a Roma, ebbero la funzione di intimorire una parte dei sostenitori di Giolitti e, probabilmente, il re».

In un altro libro edito in questi giorni da Donzelli, «Convertirsi alla guerra», Mario Isnenghi osserva che la trasfigurazione dell'Italia triplicista alleata di Francesco Giuseppe in quella irredentista, protesa alla liberazione di Trento e Trieste, comportò l'eclissi dell'internazionalismo socialista e il conseguente spostamento verso il nazionalismo di settori importanti dell'opinione di sinistra, repubblicana e mazziniana; nonché la trasformazione dei cattolici da nemici dello Stato in clerico-patrioti.

Il prezzo della vittoria
Nel novembre 1918, dopo quarantuno mesi di guerra, l'Impero austro-ungarico fu sconfitto militarmente dall'Italia liberale, vittoriosa sia pure a costi altissimi. Secondo le cifre fornite dal Comitato italiano per il centenario, alla Grande Guerra parteciparono circa sei milioni di nostri connazionali: furono 650 mila i caduti in battaglia e più di mezzo milione le vittime civili, includendo i decessi per fame o malnutrizione e i morti per l'influenza spagnola. Il conflitto ci costò 157 miliardi di lire (il Pil era di circa 95 miliardi), un impegno economico salito a 213 miliardi comprendendo gli oneri finanziari, che hanno pesato sul bilancio statale per oltre 60 anni.

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