Cultura

Il grande ribaltone dell'Italia liberale

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24 MAGGIO 1915

Il grande ribaltone dell'Italia liberale

Tra il 28 giugno 1914, quando venne assassinato a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono della monarchia austro-ungarica, e il 24 maggio 1915 l'Italia operò un clamoroso ribaltamento delle sue alleanze internazionali, con la denuncia della Triplice Alleanza e la dichiarazione di guerra all'Austria e – nel 1916 – anche alla Germania. Mario Isnenghi (professore emerito dell'università di Venezia), nel suo ultimo libro «Convertirsi alla guerra», scrive che si trattò di una riconversione non solo militare, ma anche politica e culturale, fatta di liquidazioni, mobilitazioni e abiure d'ogni sorta.

I dieci mesi di maturazione della nostra entrata in guerra trascorsero all'insegna di uno strano dualismo. In quella concitata transizione, secondo Isnenghi, si consumò anche il passaggio storico dalla società dei notabili alla società di massa. Da un lato, avanzava sulla scena un tumultuoso coacervo di minoranze, un labirinto di comitati mobilitati per la guerra che, mettendo in mora il Parlamento, si affermava come politicamente egemone, sempre più minaccioso nei confronti di chi alla guerra si dichiarava contrario. Dall'altro lato continuava a esistere, quantitativamente forse maggioritaria, un'Italia composta di pura e semplice lontananza ed estraneità alla politica.

Isnenghi dedica un capitolo del libro anche alla stampa, soprattutto al “Corriere della Sera” che descrive «all'altezza del ruolo che il quotidiano milanese ha come espressione della classe dirigente e di quello che in particolare ha voluto programmaticamente assumere nei mesi della scelta, come vero e proprio motore dell'entrata in guerra». Il “Corriere”, primo quotidiano italiano con 300 mila copie diffuse all'inizio della guerra e 400 mila alla fine, già durante la fase della neutralità si era espresso in modo favorevole all'intervento a fianco dell'Intesa. “La Stampa” di Torino seguiva invece una linea più prudente, vicina alla posizione neutralista di Giovanni Giolitti, il politico liberale di maggiore spicco in Parlamento.

Luigi Albertini, il direttore del “Corriere”, prosegue Isnenghi, «è sui 45 anni, potrebbe essere militare, come lo sono i suoi due fratelli, ma il suo strategico posto di lavoro è alla direzione del giornale, dove è e si sente indispensabile». Senatore del Regno, può scrivere o ricevere confidenze e messaggi dal presidente del Consiglio Salandra, dal generale Porro (sottocapo di Stato Maggiore e vice di Cadorna) e da altri ministri; anche il poeta-vate Gabriele D'Annunzio è una colonna di via Solferino, cui dona come primizie le sue rime civili. «L'immedesimazione con la figura centrale di Cadorna non giunge al punto di seguirne le sorti quando – dopo Caporetto – gli subentra Diaz e la costellazione del “Corriere” accresce il suo potere anche nell'ultimo anno di guerra».

Mario Isnenghi
«Convertirsi alla guerra – Liquidazioni, mobilitazioni e abiure nell'Italia tra il 1914 e il 1918»
Donzelli, Roma, pagg. 281, € 20,00

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